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EO da pronunciarsi ih oh, ih oh, perché di raglio asinino si parla. È il nuovo film dell’ondivago regista polacco Jerzy Skolimowski, 84 anni e una trentina di opere in carnet. Di nuovo in competizione a Cannes dopo The Shout (1978, premio speciale della giuria) e Moonlighting (1982, premiato per la sceneggiatura), si ispira al prediletto Au hasard Balthazar di Robert Bresson, di cui loda “lo stile senza alcun sentimentalismo, quasi indifferente”, per EO, ovvero il mondo visto con gli occhi innocenti di un asino.
Diciamolo subito: poro Bresson. Skolimowski più che un omaggio confeziona un vilipendio di cadavere: tamarro, fracassone, con la musica tonitruante, i viraggi rossoneri da screensaver, la macchina da presa in perenne e inane movimento, le inquadrature che ruotano come pale eoliche e i nostri attributi anche.
C’è in questo caravanserraglio qualche pezzo di bravura tecnico, e tecnicista, ma si perde nel basso continuo coatto: perché, Jerzy, perché?
Comunque il ciuco viene espropriato al circo polacco dove Kasandra (Sandra Drzyimalska) ne aveva amorevole cura, e intraprende una via crucis tra maneggi e allevamenti, le mazzate degli hooligans e i viaggi, fino all’Italia dove in una sequenza nonsense troviamo il non bravo Lorenzo Zurzolo (Baby), che rimane appiedato e dice messa, e l’incongrua Isabelle Huppert, che rompe i piatti e, ancora, i nostri attributi.
L'unica cosa bella è la corona di carote che a un certo punto compare al collo del somaro, che si serve da solo.
Davvero non si intende il quid, se non l’amore per l’asino e gli animali tutti: perché, Jerzy, perché?
Sui titoli di coda compare il cartello che, oltre a dichiarare l’affetto per la fauna, assicura che nessun esemplare è stato maltrattato durante le riprese. Purtroppo non accade lo stesso con lo spettatore: ahi ahi oh.