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Per l’anagrafe è Gustavo Adolfo Rol, per la folla di persone e personaggi (da Zeffirelli a Fellini, passando per Gassman, Strehler e Cocteau) che lo hanno avvicinato fu in disordine e spesso insieme: taumaturgo, veggente, visionario, altruista, incantatore, pittore e levitatore. Benefattore, mentalista, truffatore.
Torinese di nascita, banchiere per mandato paterno, Rol abbandona presto le banconote per dedicarsi a chiavi, quadri, dipinti, occhiali. Oggetti, spazi, corpi da far volare, reinventare, risemantizzare, svuotare del senso razionale, investire di quello irrazionale, magnetico, esoterico.
A trent’anni, quasi, dalla morte, gli adepti, cantori delle sue gesta, sono tanti quanti gli scettici (Piero Angela che lo bollò come “mediocre illusionista”). Rivitalizzando, allora, il duello tra rollisti e scettici, vagando tra segmenti fiction, sprazzi di fumetto, materiale d’archivio, e soprattutto la cornucopia di interviste, il docufiction insiste, anzi si intestardisce a convocare e far duellare le due tesi, reiterando testimonianze gemelle che ristagnano spesso nell’aneddotico. Testimoniano appunto, non provano granché.
Così, l’apertura biografica (gioventù, amori, e la precoce passione sensitiva) è presto soppiantata dall’andamento dialogico. Si delinea, per quantità, un Rol degli spiriti (l’esoterico Fellini compare tra gli ammiratori). Un veggente (preconizzò a Mussolini la rovina), un lettore di verità sepolte e (gravidanze) invisibili, un indagatore di anime, un restitutore di salute e quiete. Senza altezzosità, ma per vocazione e dedizione.
Intervistati di estrazione più disparata (letterati, psicologi, attori, imprenditori e medici) si accalcano, come detto, per confermarlo ad ogni piè sospinto. La sensazione di ripetitività, di rigiro ossessivo intorno ad un unico fuoco tematico, però, affiora presto, appiattisce la biografia, toglie profondità e restringe il campo d’analisi del doc.
Nella cornice di episodi fictional di dubbia qualità (più che recitativa, scenografica), nell’eterogeneità espressiva, infatti la documentarista (La lucida follia di Marco Ferreri) vuole soffocare la diffidenza che circonfuse in vita e in morte il suo Eroe, proclamare l’insufficienza della scienza, scardinare i nostri paraocchi culturali, accecati dal razionalismo, ceci di fronte all’occultismo.
Vuole dimostrare, in poche parole, l’irrazionale con il razionale, l’invisibile con il visibile. Il “documentario arricchito di dialoghi” lucida il lato umano, l’afflato umanitario Rol, al secolo “la grondaia di Dio” (ipse dixit), ma, sui titoli di coda, la stessa perplessità che ghermì il sensitivo fino sulla tomba, pervade noi di fronte alla gestione discorsiva del film.