Su e giù per le antiche strade di Strasburgo, percorse da turisti, anziani e studenti di vario genere e colore e da un ragazzo dagli occhi chiari e intensi, assorto nel tratteggio di contorni e visi femminini, che si lascia trafiggere da brividi di memoria e dall'ansia di una identità. Crede di ravvisare una donna, incontrata alcuni anni prima, di cui forse s'era innamorato, di cui solo sa il nome, Sylvia, e ne ricorda appena appena i tratti. E' sicuro di riconoscerla tra le tante, mentre schizza a matita altri primi piani di sorridenti ragazze o taciturne signore, mentre siede, anche goffamente, ai tavoli del caffè adagiato al sole dinanzi al Théatre National. Un film di vera e propria antropologia esistenziale, se mai esistesse tale materia anche e solo per il cinema. Sono i rumori soltanto a connotare gli spazi, soltanto gli sguardi a riflettere l'ansia interiore, soltanto le immagini a fornirci punti sempre instabili, quasi liquidi, di riferimento. José Luis Guerin è un poeta dell'anima, e l'anima non ha parole. Non cede mai alla tentazione, plausibile, di assecondare il pubblico con una spiegazione verbale che sarebbe in questo caso falsante: obbliga, invece, ad un'attenzione quasi sospesa nel tempo in cui la parola - eccettuato un franco dialogo parzialmente chiarificatore di pochi minuti appena - non ha luogo e cittadinanza, non ha senso d'esistere. Tutto è pura emozione, stati d'animo espressi nel corpo, con il suono, nel movimento e con la fisicità dei paesaggi d'accoglienza, sempre urbani, più o meno frequentati e attraversati a diverse velocità, diversi entusiasmi, diverse ragioni. Stati d'animo essenziali si susseguono: l'Uomo che insegue è un fascinoso Xavier Lafitte, la Donna inseguita è l'espressiva Pilar López de Ayala. Incrociano uno sguardo, fugano una speranza, non c'è felicità in loro.