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Emilia Pérez
Messico e… Audiard. Dopo Les Olympiades del 2021, Jacques Audiard firma il suo decimo lungometraggio, il sesto in Concorso a Cannes: Emilia Pérez.
Palma d'Oro con Dheepan nel 2015, il regista francese torna al genere thriller di Un Prophète (2009), ma in lingua spagnola, in musica(l) e in Messico, cercando una interessante mediazione in primis sonora tra crime e soap.
Operazione, senza nulla togliere alla storia, dichiaratamente metacinematografica e, persino, sperimentale, Emilia Pérez riflette sul codice ancor più – girato in inglese – di The Sisters Brothers (prodromi di transizione nel titolo...) del 2018, con Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhaal e John C. Reilly, annoverando altre star, quali Zoe Saldaña e Selena Gomez, affiancate dal venezuelano Édgar Ramírez, la spagnola Adriana Paz e... l'attrice transgender spagnola Karla Sofia Gascón quale Emilia Pérez.
Nella Cannes piatta di idee e parca di stile fin qua (18 maggio), l’estroversione di Audiard si fa sicuramente apprezzare malgrado le esplicite debolezze di scrittura, e sin dal soggetto: un signore della droga messicano diventa donna per sfuggire al destino e trovare sé stesso/a. Ad adiuvare la transizione di genere – convergenza parallela con quanto avviene poeticamente – l’avvocata Rita (Saldaña), che impiegata in uno studio legale più incline ad assecondare i criminali che la giustizia non fa troppe resistenze ad accettare la proposta, che proverbialmente non si può rifiutare, del kingpin. La donna che quest’ultimo ha sempre sognato di essere diverrà realtà, con i figli e la moglie (Selena Gomez, già non è capace di recitare, la fissità facciale in quota botox fa il resto) che lo credono morto trapiantati a Losanna, finché Emilia non decide che è ora di ritornare agli affetti e in Messico forte della nuova identità: Rita avalla, ma non mancheranno le difficoltà ambientali…
Certo, il virtuosismo del musical – questo lo è solo in accezione eterodossa – in presa diretta, per rimanere in Francia, Annette di Leos Carax qui manca, ma la colonna sonora firmata dal cantante Camille e dal suo compagno, l'arrangiatore Clément Ducol, dà parimenti nell’orecchio e nell’occhio, spalancando – sapete quanto l’audio sia centrale in Audiard, basti pensare la sordità temporanea del profeta e il lavoro acustico straniante sui Fratelli Sisters – alla fiaba sul traffico di droga frontiere stilistiche inedite.
Ecco, la trasferta di Audiard se fatica sovente sul piano drammaturgico, ha beneficio d’invenzione e coraggio autoriale, da spartire sul tavolo di scrittura con il sodale Thomas Bidegain: l’ultraviolenza del narcotraffico è conservata, al contempo dissipata dall’interno con una dose di favolistico sarcasmo e la concessione, se non all’impossibile, al francamente improbabile.
A parte la Gomez, gli attori sono bravi, e si danno anima e corpo, il vecchio e il nuovo, per assicurare a Emilia Pérez la sospensione dell’incredulità da parte degli spettatori, e l’apertura al Cinema, che il mondo forse no, ma cambiare sé, sesso e stesso, lo può ancora fare. E… occhio ai premi, qui e agli Oscar.