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Elsbeth
Pare che sia tornato di moda Colombo. Non tanto il personaggio del tenente interpretato da Peter Falk, anche se si parla di un film ispirato alla serie con Alec Baldwin, quanto la struttura che ha cambiato la storia del giallo, passando dal whodunit - ossia chi l’ha fatto, chi ha commesso il delitto - al howdunit o howtocatchthem, cioè come è stato commesso e soprattutto come farà il detective a scoprire e demolire l’apparente perfezione del crimine che noi vediamo compiersi sotto i nostri occhi proprio dall’assassino nel prologo dell’episodio.
La sfortunata serie - inedita in Italia - Poker Face o l’italiana Stucky con Giuseppe Battiston hanno sfruttato l’inversione del rapporto convenzionale tra crimine e indagini. Su Rai 2 e RaiPlay arriva anche Elsbeth, la quale di suo ha già una storia particolare perché il personaggio di Elsbeth Tascioni, splendidamente interpretato da Carrie Preston, era al centro di due serie legali, ovvero The Good Wife e il suo primo spin-off The Good Fight, le quali erano appunto drammi o thriller processuali in cui, oltre al mistero, si rilevavano moltissime influenze politiche e culturali, soprattutto nel secondo. Elsbeth, invece, creato dagli stessi creatori delle due serie madri, ovvero i coniugi Michelle e Robert King (che hanno scritto il pilota e diretto, lui nella fattispecie, alcuni episodi), è un tipico giallo, fatta salva la scansione narrativa: l’avvocata Tascioni, abilissima legale difensiva, capace con la sua perspicacia e le sue tecniche comunicative, ma anche con la personalità eccentrica, di smontare le più acute tesi dell’accusa, viene assegnata dal dipartimento di giustizia alla polizia di New York, con il compito di sorvegliare i metodi di indagine che hanno portato a parecchie ingiuste detenzioni. Ovviamente, il suo talento servirà ad aiutare agenti e detective della Omicidi a smascherare i criminali più astuti, ma anche per riflettere sulla differenza tra il modo migliore di mentire, come farebbe un difensore, e scoprire la verità, come richiesto alla polizia. Inoltre, all’andamento verticale del delitto della settimana, si aggiunge anche una trama orizzontale, il vero motivo dell’assegnazione di Elsbeth alla Polizia di New York: indagare sul capitano Wagner, sospettato di corruzione.
Al tenente Colombo, Elsbeth - come molti degli epigoni della serie anni ’70 - pare guardare anche nella definizione del rapporto tra il segugio, o meglio la segugia in questo caso, e la sua preda: Tascioni è una donna simpatica, entusiasta, apparentemente sempre distratta e pronta a divagare, a instaurare un rapporto di simpatia e quasi confidenza con l’assassino, prontissimo a sottovalutare le capacità dell’avvocata proprio per via del suo carattere (nel pilota, per esempio, si presenta sulla scena del crimine con la corona della Statua della Libertà in gommapiuma, appena arrivata da una gita turistica, e chiede a tutti consigli su cosa vedere e biglietti per Broadway) e a infastidire chi gli sta intorno, prodigandosi in siparietti leggeri se non proprio comici.
Certo, bisogna fare dei distinguo e dei paragoni, che hanno soprattutto a che fare con la qualità complessiva della serie, della quale sono state prodotte due stagioni, la prima di dieci episodi, la seconda di venti (Rai manderà per ora in onda solo la prima stagione): innanzi tutto, rispetto alle serie legali interpretate da Julianna Margulies e Christine Baranski, Elsbeth ha ambizioni e fattura decisamente più terra terra, popolari e semplici, senza le complessità di racconto e riflessione sul presente di quei prodotti, per cui può lasciare delusi i fan della prima ora.


Anche posta questa premessa, pensando al riferimento più immediato, quindi a Colombo, non si può non notare che la serie dei King lavora in modo più immediato, forse potremo dire superficiale, sulla scrittura. Il giallo innanzitutto è più facile, o per meglio dire, costruito in maniera più veloce e l’investigazione non è puntigliosa come sarebbe opportuno per sviluppare al meglio il potenziale della serie; poi, il rapporto con i criminali, il passo a due che si innesta tra Elsbeth e i diversi assassini, il gioco psicologico che è lo scheletro stesso di una narrazione di questo tipo non ha la profondità necessaria, è giocato su un meccanismo più facile e immediato, che predilige il sorriso alla suspense, la comprensione al gioco progressivo della deduzione, anche per via della durata standard della tv in chiaro statunitense, poco più di 40 minuti, mentre il formato dei 60 minuti, o addirittura dell’ora e mezza del film tv come nel prototipo del detective col trench stropicciato e il cane nell’auto (anche Elsbeth adotterà un cane nel corso della serie).
Però, al netto di questi indubitabili limiti, anche costitutivi, Elsbeth è unpiacevole passatempo, leggero nel tocco e discretamente realizzato nel ritmo, nella messinscena, nello humour, relativamente intrigante per l’intreccio e capace di assolvere la funzione basilare che si proponeva, soprattutto per merito del cast: detto della verve e della simpatia contagiosa di Preston (che per il ruolo di Elsbeth Tascioni ha vinto un Emmy), contribuiscono al funzionamento anche il grande Wendell Pierce (che ricordiamo per The Wire e Treme), il possibile gran cattivo della stagione, la mimica della poliziotta Carra Patterson e i vari assassini tra cui Jane Krakowski, Linda Lavin (nella sua ultima apparizione), Gina Gershon o Nathan Lane.
Nell’epoca di transizione dalla prestige tv, Elsbeth si pone intelligentemente (e CBS in primis, coerentemente con la sua natura) dentro quel riflusso verso la tv di intrattenimento per un pubblico ampio, gli episodi orizzontali, la leggerezza dei toni e il gusto del giallo, anche la visione distratta. Sembra forse qualcosa di perso nel passato della televisione, ma forse è un’idea di “classicismo” fatta per tornare, o per non passare mai di moda.