PHOTO
Il ritorno sulla Croisette, ma non Il ritorno di Andrei Zvyagintsev. Il suo esordio, Leone d'Oro nel 2003, non torna più, e nemmeno la manieristica replica The Banishment l'anno scorso in competizione a Cannes. Dove torna a chiudere Un Certain Regard con Elena, che non manda a memoria la visionarietà pittorica e la visualità simbolica dell'ouverture del regista siberiano classe 1964, bensì cerca senza fronzoli né tragedia (greca) un storia capace di farsi Storia universale, in formato famiglia e machiavellismo domestico.
Titolo da romanzo ottocentesco, Elena è moglie remissiva, anzi, badante coniugata a Vladimir, che con Putin non condivide solo il nome, bensì potere e freddezza. Per entrambi, il secondo matrimonio e un figlio in eredità: Elena lotta perché il proprio non cada in mano ai creditori, Vladimir colpito da infarto medita di lasciare tutto alla figlia con cui, peraltro, non ha rapporti. Sciagurata eventualità per Elena, che passa al contrattacco: gelidi calcoli, geometrie relazionali, finanza creativa, in breve, tutto perché il patrimonio non fugga. Al massimo, il tempo per chiedere perdono a Dio c'è sempre…
Dostoevskij direte, e potremmo convenirne, ma il voltaggio delle immagini non rasenta mai il contrappunto ad aspera di quelle pagine, bensì, svicolando pure dal genere thriller, si accontenta di un'aurea mediocritas, tra dramma psicologico e intimismo relazionale, architetture intriganti e fondamenta umane, troppo umane.
Zvyagintsev cerca la routine del quotidiano domestico, inquadra letti fatti e sfatti, colazioni e schermi tv sempre accesi, finendo per tallonare Elena e la sua salvaguardia del futuro. Colpi di scena? Anche, ma non soprattutto: Elena è il nome di tutti, questo cinema il nostro riflesso allo specchio. Film di transizione e senza artefazione, la strada è lunga, e per ora meno affascinante della pittura audiovisiva e simbolica che fu opera prima e opus magnum: il futuro è di Zvyagintsev, Elena è l'antitesi, a quando la sintesi?