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KILL THE JOCKEY - Úrsula Corberó and Nahuel Pérez Biscayart (Credits Rei Pictures, El Despacho, Infinity Hill, Warner Music Entertainment, Exile)
Scherza coi fanti e lascia stare i santi: detto, fatto. Il fante, meglio, fantino è Remo Manfredini (Nahuel Pérez Biscayart, 120 battiti al minuto), tutto genio e sregolatezza in sella: ketamina e whisky, orizzonti no future, sennonché tiene fidanzata-collega Abril (Úrsula Corberó, La casa di carta) e pure incinta, e se non bastasse un boss, Serena (Daniel Giménez Cacho), che tiene neonati in braccio e qualche potere, alla voce debiti, con lui. Non può sbagliare, che il purosangue Mishima viene dispendiosamente dal Giappone, e la corsa è da vincere: fatale fu la curva, destino beffardo, ma al risveglio…
In Concorso a Venezia 81 è El Jockey, alias Kill the Jockey, diretto dall’argentino Luis Ortega (L’angelo del crimine), che esce dai blocchi con tanto surrealismo e, mannaggia lui, prende poi una piega metà gender e metà queer che poco ci azzecca nella seconda parte. Va be’, teniamoci la prima, in cui molto si ride e ci si bea di bon mots, wit, humour e altri mondi impossibili costruiti tra Borges e Soriano e precipitati nel milieu di cavallari e ronzinanti.
Gli attori sono sapienti, quando ballano sensuali, coreografano esistenziali e sopravvivono a sé stessi, la regia è pop con licenza di trasgressione, Remo un centauro tragico e sfatto, punk e ineffabile, Harry e Styles: ad Abril promette di morire e rinascere, e si rimette in piedi con testa bendata, borsa al braccio e pelliccia sciccosa, ma dovrà preservarsi dagli sgherri di Serena…
Insomma, un discreto film, questo El Jockey, somma asimmetrica di una prima parte quasi folgorante per presa e immaginario e di una seconda più ambiziosa ma ancor più programmatica, alla voce Zeitgeist, e paracula, alla voce Zeitgeist, che perde in definizione, si stracca tra bivi a effetto e scorciatoie drammaturgiche e si consegna a un finale abborracciato - e a un bacio a stampo che oblitera l’ovvio.