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El Club di Pablo Larrain
Fin dagli esordi, il cileno Pablo Larrain ha dimostrato di essere uno dei registi più interessanti del panorama internazionale. In Tony Manero, durante la dittatura di Pinochet, il protagonista (Alfredo Castro, attore feticcio) era talmente ossessionato dal personaggio di John Travolta nella Febbre del sabato sera, da mettere in scena uno spettacolo di danza in un locale di periferia ogni sabato, mentre come secondo lavoro faceva il serial killer.
In Post mortem, Larrain immaginava la vicenda di un impiegato all'obitorio di Santiago del Cile, che al momento del golpe si vedeva arrivare, per l'autopsia, il cadavere di Salvador Allende. Con No, era tornato di nuovo a parlare del suo paese. Quando, nel 1988, l'opposizione aveva affrontato il referendum che Pinochet pensava di vincere per riconfermarsi al potere per un altro decennio. Specializzato nello scandagliare zone buie, angoli remoti mai esplorati, senza risparmiare orrori di nessun tipo, con una cifra stilistica personalissima, premiato a Berlino lo scorso anno (Orso d'Argento) con un'altra vicenda scottante e scabrosa: El Club.
Una casetta, come tante, sulla costa cilena, in cui vivono un gruppo sparuto di uomini e una donna, Monica. Potrebbero essere amici, pensionati, che scommettono sui cani e guadagnano una discreta sommetta. L'arrivo di due sconosciuti, svela che sono preti, nascosti, confinati perché hanno commesso dei gravi abusi. La donna è una suora, dal vissuto turbolento, che ha trovato il modo di espiare facendo loro da badante e a tratti da carceriera. Il nuovo prete perde la ragione quasi subito e si uccide di fronte a un vicino che lo accusa di averlo molestato da bambino. La Chiesa manda un emissario. Un giovane elegante che ha il compito di stabilire la verità e chiudere questi rifugi sparsi per il mondo. Si trova davanti persone che hanno perso non solo la fede, o hanno un modo personale di declinarla, ma che hanno paura e vogliono essere dimenticati. Se sia la pietà che lo spinge o il desiderio di essere il primo a mettere una pietra sul passato, è lasciato allo spettatore, stordito dalla crudezza delle immagini Larrain procede nella sua indagine, senza ombra di speranza negli uomini e nelle istituzioni, e il cammino verso quella trasparenza invocata da Benedetto XVI e perseguita da papa Francesco, sembra più impervia che mai.