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El bar
Si può stare o no al gioco cinematografico di Alex de la Iglesia, basta sapere che il suo cinema si fonda sull’eccesso. Ma anche rispetto alle sue regole - che hanno dato ottimi film come Ballata dell’odio e dell’amore - El bar è una mezza delusione, nonostante la passerella fuori concorso al festival di Berlino.
Il film vede i protagonisti rinchiusi dentro un bar dopo che un avventore uscendo si è beccato una pallottola in fronte. Chi è il cecchino che li tiene segregati? E perché l’area è stata evacuata ma nessuno sembra sapere nulla della sparatoria? Thriller grottesco e complottista che il regista scrive con il sodale Jorge Guerricaechevarría secondo un crescendo cinico e violento che arriva al parossismo.
Su una base satirica superficiale, fatta di tensioni sociali, razziali o politiche, frecciate contro le autorità e la psicosi del terrorista, El bar è prima di tutto il classico gioco al rilancio di De la Iglesia a cui va riconosciuto sempre il merito di andare fino in fondo alle proprie premesse, costruendo sistemi narrativi e cinematografici coerenti e, nel migliore dei casi, divertenti. Stavolta il problema però sono proprio le premesse: dopo curiosi titoli di testa fatti di spore, muffe e batteri e un piano sequenza iniziale, De la Iglesia si trova a disagio nello spazio stretto del bar, non sa gestirne la tensione, non sa creare le giuste dinamiche tra i personaggi limitando a suggerire la claustrofobia tramite i primissimi piani ripetuti.
Ma è una scelta facile, quasi una scorciatoia, segno della poca ispirazione dello spagnolo, dimostrata anche dal ricorso pedante alle urla al posto della suspense o dell’azione o dalle azioni stupide e insensate dei personaggi come escamotage narrativi a buon mercato. È chiaro che si superano questi grossi limiti, se si accettano forzando la critica, si deve riconoscere a El bar la propria onestà, il modo con cui funziona il crescendo, il gusto del disgusto in un periodo in cui ogni film mainstream deve ripulirsi per essere accettato da genitori e ragazzini. Per come è costruito il film, sembra quasi che De la Iglesia chieda allo spettatore di scegliere di divertirsi: i fan lo seguono e ovviamente si godono lo spasso. Gli altri meno.