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Eismayer © Golden Girls Film
È tratto da una storia vera, Bersaglio d’amore (in originale Eismayer), presentato alla Settimana Internazionale della Critica a Venezia, e quindi non dovrebbero esserci premure nel raccontare come è andata a finire. Ma non lo faremo perché, al di là del mero interesse dato del dispiegamento narrativo, ci sembra che il debutto alla regia dell’austriaco David Wagner riveli soprattutto un’ammirevole attenzione per la messinscena, per la sottrazione come strumento di restituzione che rifugge morbosità e sfida pruderie.
Come si evince dal titolo, Bersaglio d’amore si manifesta subito come lo studio di un personaggio, nella fattispecie un vice tenente, l’istruttore più temuto dell’esercito austriaco, che (soprav)vive tenendo nascosto un segreto inconfessabile: è gay.
Non solo per la famiglia, moglie e figlia che vede poco e male di sera dopo il lavoro, ma soprattutto per il suo luogo di lavoro: se alla luce del sole Eismayer sbraita e comanda le giovani reclute, nel buio della notte si infratta con amanti occasionali altrettanto velati e sotto la doccia si concede parentesi onanistiche.
Tutto cambia quando Falak si unisce al reggimento, gay anche lui ma dichiarato: lo scontro è immediato, l’attrazione fatale pure. È un conflitto generazionale: c’è un giovane che vive liberamente e serenamente anche in un ambiente spesso omofobo; e c’è un adulto cresciuto all’interno di uno schema eteronormato, abituato a credere che l’omosessualità è una colpa da praticare in un privato oscuro. Ed è un percorso di rinascita: due militari possono vivere apertamente una storia d’amore?
Sillabato dalle immagini di un rudere innevato con alberi spogli che vi spuntano all’interno, Bersaglio d’amore sceglie un lessico essenziale, trasparente, più accessibile di quanto appaia, che prima punteggia i cromatismi freddi dello spazio militare e poi piega a proprio favore quel senso di soffocamento emotivo dato dalla scala dei grigi e dalla finzione di una neutralità che segna repressione.
Eismayer © Golden Girls Film
Senza eccedere e trovando una misura ideale, Wagner evoca una sensazione di inquietudine costeggiando l’erotismo, come si vede nel passaggio decisivo dell’addestramento, con istruttore e recluta coinvolti in uno duello che è la coreografia di un atto erotico, dove la violenza dell’esercito sfocia nella seduzione di due corpi improvvisamente e pericolosamente attratti l’uno dall’altro.
Molto si deve all’ottima interpretazione di Gerhard Liebmann, esplosivo nella fase marziale quanto trattenuto nell’addomesticamento del proprio orientamento, con lo spaesamento nel perimetro domestico in cui domina la reticenza e con quel gesto di inforcarsi gli occhiali che è sintomo della fatica con cui si relaziona con una realtà nella quale è a disagio. Con Luka Dimić a fargli da perfetto contraltare per vitalità e indipendenza.
Secco e lineare, dura meno di un’ora e mezza e funziona benissimo: con un montaggio che alterna le immagini dell’istinto represso e nascosto a quelle della liberazione e della pacificazione, Bersaglio d’amore non rinuncia a una pur domata dimensione romantica e ricorda quanto l’amore possa essere davvero (ancora) un atto rivoluzionario contro un sistema punitivo.