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-Jude Law e Vanessa Kirby in Eden, @Jasin Boland
Non sappiamo quanto Ron Howard conosca Ludwig Feuerbach. Di sicuro lo conosceva il dottor Friedrich Ritter. Personaggio di ampie conoscenze e vedute, maturato nella Germania proto-hitleriana e ossessionato perciò dal sentimento storico della disfatta della civiltà, questo burbero Fitzcarraldo di lettere e filosofia è esattamente la risposta affermativa alla massima feuerbechiana: l’uomo è ciò che mangia. Ritter è anche il protagonista di Eden , che ha ufficialmente aperto il Torino Film Festival accolto dai generosi applausi del pubblico del Teatro Regio. Il ventottesimo lungometraggio di finzione del regista premio Oscar – insignito dal TFF con la Stella della Mole – è un film ambizioso ma zoppicante, certo migliore del melvilliano Heart of the Sea, che resta ancora ad oggi il fondo di una carriera altrimenti luminosa.
Feuerbach dicevamo, ma anche Nietzsche e Hobbes. Forse troppo Bignami e poca polpa in questa parabola del cattivo samaritano che almeno una cosa straordinaria ce l’ha: la storia è vera. Ritter e compagna, Dora Straugh, lasciano alla fine degli anni Venti la minacciosa Germania per riparare a Floreana nelle Isole Galapagos. Lì, in una zolla di terra incoltivabile e infestata da parassiti e animali selvatici, iniziano una nuova vita basata sulle tesi dello zarathustriano dottore. Oggi la liquidiremmo come robaccia new age, ma allora le sue idee raggiunsero mari lontani attirando altri avventati avventurieri sull’isola. Vi approda prima una famiglia tedesca, i Wittmers, perseguitata dai guai dell’inflazione e dai malanni dell’epoca (la tubercolosa del figlio adolescente); poi una corte di uomini al seguito della fantomatica baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn, ciarlatana seducente e senza scrupoli convinta di poter aprire il primo resort sull’isola. Da che era disabitato, lo spazio diventa affollato, le risorse scarseggiano e la scena si fa belluina con buona pace delle teorie palingenetiche di Ritter.
Insomma: persone che degenerano in situazioni estreme. Di storie così il cinema è pieno e Howard non sembra essersi preoccupato troppo di cercare una chiave originale. Speriamo solo che l’intenzione non fosse quella di celebrare l’intesa tra natura e cultura – come le immagini di archivio prima dei titoli di coda lascerebbero pensare – perché altrimenti l’effetto sarebbe paradossale. Eden si accosta a una vicenda incredibile sulla scorta del vecchio comportamentismo, in cui l’ambiente finisce per portare allo scoperto la natura bellicista e sopraffattrice di ogni uomo. Così, le piccole angherie tra vicini per il controllo del territorio e delle risorse sono solo il prodromo di più grandi e devastanti conflitti.
Nulla di nuovo, anzi di meno rispetto al cattivismo goliardico di Triangle of Sadness. Qui c’è solo becera mediocrità piccolo borghese: non si salva nessuno. Non l’infida baronessa a cui Ana De Armas sembra credere fino a un certo punto né tantomeno il pretenzioso e, a conti fatti, miserabile dottor Ritter, cui Jude Law ha prestato più muscoli che cervello. Trascurabile il personaggio, pigro l’attore (Daniel Brühl) nel caso del veterano della prima guerra mondiale Heinz Wittmers, uno a cui la baronessa affibbia non a torto il soprannome di “rapa bollita”. Più interessanti le due donne al loro fianco: Vanessa Kirby nei panni di Dora è sufficientemente ambigua e scostante, ma Ron Howard la utilizza poco e non sempre a dovere; la vera sorpresa è invece Sydney Sweeney, che nei panni della giovane moglie di Heinz Wittmers è esattamente quella che non vedi arrivare.
Avremmo voluto saperne di più dei motivi che hanno spinto tutte queste persone a lasciare il mondo verso la (im)possibilità di un’isola, ma Eden non se ne cura, preferendo assecondare il meccanismo del gioco al massacro.
È come se, nell’impossibilità di provare una qualche forma di empatia per i propri personaggi, Ron Howard si dimenticasse che è suo il film che sta girando.
Respingente. Come le Galapagos fotografate da Mathias Herndl, qui terre tutt’altro che esotiche: inospitali, appiccicose, anemiche nella luce pallida e ocra. Forse non l’Eden migliore ma probabilmente la cosa migliore di Eden.