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Un dramma domestico e intimo a tinte cupe per il regista australiano Michael Rowe, in concorso alle Giornate degli Autori di Venezia 72, che racconta di una crisi coniugale tra un uomo e una donna di mezza età nella gelida provincia del Quebec canadese. David lavora presso una clinica geriatrica dove stringe amicizia con alcuni degli anziani pazienti ormai prossimi a morire, mentre la moglie Maya, straniera in un paese francofono, trascorre annoiata il proprio tempo dinanzi al cellulare, trascurando la cura della casa e dei figli. La loro vita si trascina grigia e ripetitiva, finché il sospetto che la donna possa avere intrapreso una relazione non giunge a scuotere entrambi dal torpore esistenziale.
Nel mettere in scena una vicenda della quotidianità più sconsolante, la regia di Rowe si eclissa volutamente dietro lunghe inquadrature statiche ad altezza d’uomo, ricercando un’obiettività di visione che si traduce, nei fatti, in uno sguardo raggelato sull’infelicità umana. Tuttavia, se il quadro risulta essere abbastanza convincente nell’insieme, sono davvero pochi i momenti in cui il film riesce a caricarsi di autentica forza visiva per divenire, dunque, metafora artistica pregnante. Rimane il ritratto di un’umanità disarmata dinanzi al grigiore e allo sperpero dei giorni, imprigionata in una sorta di perenne inverno da cui non sembra esserci, attualmente, alcuna via d’uscita.