Due uomini d'affari stupidi e prepotenti, una giornalista televisiva senza scrupoli e a caccia di popolarità, e un ingegnere sognatore poco propenso agli affari, incrociano i loro destini in un nuovo reality show che mostra in diretta la morte di malati terminali e suicidi. Un "sonoro" no alla globalizzazione rintrona da una delle sue periferie: la Malesia. Pamphlet politico, satira televisiva e improbabile storia romantica, Sell Out, esordio nel lungometraggio del mezzo malaysiano (non chiamatelo "malese", il termina puzza di odioso colonialismo) e mezzo inglese Yeo Joonahn, ambisce ad essere un musical al negativo del mondo globalizzato, una bella corale racchiusa in un pentagramma al rovescio. Una voce leggiadra canta l'amore fasullo, quella soave la tragedia incombente, un'altra dolente la vita ridicola, e così via. Dissonanze che Joonahn si diverte a replicare sul piano filmico (lo stile non è mai simpatetico al racconto) e profilmico (facce, oggetti e design compongono un quadro sfacciatamente inadeguato al suo contenuto), obbedendo più alla propria indole dissacratoria che alle supposte ragioni dell'operazione. Il regista, qui anche produttore e vincitore due anni fa a Venezia di una menzione speciale per il corto Adults only, sfoggia fegato (come quando all'inizio piazza davanti alla camera un nudo integrale maschile) e soluzioni originali (dalla materializzazione del doppio al reality da rigor mortis), ma si fa prendere troppo la mano dal gusto per il dileggio, preoccupandosi più di graffiare che di affilare bene gli artigli. E punge di meno quando l'invettiva si fa troppo smaccata, i personaggi scadono nella caricatura, le situazioni diventano inverosimili e la comicità cinica al limite del nichilismo. Comportandosi come quei tiratori inesperti che per non sbagliare si preoccupano soprattutto d'ingrandire il bersaglio.