C’è un posto fisso per tre al comune di Malvasia. Fabrizio (Fabrizio Sansone), Federico (Federico Sansone) e Luca (Giacomo Cicirello). Il primo, figlio d’operaio, studente modello ma avvocato non praticante, impelagato in un eterno precariato mentre sogna la convivenza con la fidanzata; l’altro candidato, un mammone analfabeta in Diritto, figlio del consigliere comunale di Malvasia, che non ha mai ricevuto, però, una spintarella (“Neanche una multa cancellata in trent’anni, papà!”) e infine Luca, figlio della senatrice Purpura (una grifagna Donatella Finocchiaro), il raccomandato di turno.

Al concorso pubblico, infatti, il presidente di commissione lo avvicina in bagno. Una motto latino per finire l’elaborato è il codice segreto per favorirlo, ma Federico, nascosto “a paperella” sopra un water, origlia, scrive la massima e vince il posto da legale al comune.

Così, la senatrice, che aveva elargito una mazzetta di ventimila euro per il figlio al presidente, s’infuria e promette vendetta. Il probo Fabrizio, intanto, reinventatosi rider per disperazione, scopre della raccomandazione “rubata”. Nasce, così, l’alleanza tra i due: l’avvocato per 800 euro al mese sbriga al neo assunto Federico tonnellate di pratiche. I due ingranano e si coprono lavoretti illegali a vicenda, fin quando una denuncia “anonima” porta il neo-legale del comune al tribunale.

I Sansoni, fratelli comici siciliani con milioni di seguaci tra social, teatro e tv (Sanremo orama anche Striscia la notizia, omaggiata con il cameo di Stefania Petix) scelgono il buddy movie a sfondo sociale per l’esordio su grande schermo, sulla scia di Ficarra e Picone, i Nati stanchi (2002), che alla loro età sabotavano i concorsi pubblici per godersi la nullafacenza in Sicilia, e del Checco Zalone mantenuto dai genitori e attaccato al posto fisso in Quo vado? (ma senza i picchi satirici e parodici del film di Nunziante), occhieggiando pure il Pif rider sfruttato di E noi come stronzi rimanemmo a guardare.

Ma i trentenni di oggi, rider, commessi, babysitter, gestori di falsi B&B, non voglio più rimanere a guardare. Vogliono lavorare, accasarsi, viaggiare, reclamare diritti e dignità che gli adulti, la crisi economica, la mafia gli hanno, per anni, negato.

In modi diversi e con alterne fortune, di fatto, avevano suonato il campanello d’allarme generazionale i The Pills prima, tra Sempre meglio che lavorare e le serie YouTube, i The Jackal, poi, soprattutto con Addio fottuti musi verdi. Insomma dal web oggi approda su grande schermo, a suon di commedie, il risentimento di una generazione preparata e motivata, ma drammaticamente senza diritti, tutele, meritocrazia, prospettive, salari decorosi.

Fabrizio Sansone in un'immagine del film, foto di Donato Sileo
Fabrizio Sansone in un'immagine del film, foto di Donato Sileo
Fabrizio Sansone in un'immagine del film, foto di Donato Sileo

Se la famiglia qui è elogiata, di conseguenza, la politica finisce sbertucciata tra cliché e verità storiche: l’onorevole dai metodi mafiosi che favorisce il figlio, e la querelle comica della foto di Berlusconi con il figlio Piersilvio che Federico custodisce accuratamente in camera: il Cavaliere decaduto, re indiscusso, se non sdoganatore delle raccomandazioni immeritate.

Nonostante la fumosità del titolo, dialoghi che di rado imbarcano didascalismi (i comici scrivono con Testini, sceneggiatore di fiducia proprio di Ficarra e Picone), una certa genericità di trama, l’epilogo procedural che indulge al macchiettismo, I Sansoni, diretti da Giovanni Calvaruso, non rischiano nulla, recitano bene e portano a casa una commedia (dei caratteri) godibile, attualizzante, rivendicatoria, dal pungolo sociale, dall'afflato familista, dalla morale limpida, dal telaio favolistico: l’amicizia tra i protagonisti come alleanza per ottenere giustizia, tra oppositori (la senatrice e i suoi scagnozzi) e aiutanti (le famiglie), fino ad arrivare al (fin troppo, purtroppo) lieto fine.

Ma, pur nella sincerità d’intenti, l’operazione targata Warner Italia (in co-produzione e distribuzione) non è così disinteressata come sembra: E poi si vede è un prodotto cucito addosso a quei milioni di seguaci (la campagna di promozione è miratissima) che hanno decretato, nel tempo, il successo (quindi l’uscita dal precariato) tra web, teatro e tv de I Sansoni. Ovvero, trentenni (soprattutto) meridionali sull’orlo della disperazione economica (loro sì!), costretti a barcamenarsi tra precariato imperante e ingiustizie onnipresenti.