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E noi come stronzi rimanemmo a guardare è il nuovo film di Pif, all’anagrafe Pierfrancesco Diliberto. Targato Sky Original, prodotto da Wildside, Vision Distribution e I Diavoli, è presentato quale Evento Speciale alla XVI Festa del Cinema di Roma.
Scritto da Michele Astori e Diliberto, liberamente ispirato al concept Candido e la tecnologia del collettivo I Diavoli, è interpretato da Fabio De Luigi e Ilenia Pastorelli, nonché lo stesso Pif, Valeria Solarino, Maurizio Marchetti, Maurizio Lombardi e Eamon Farren.
De Luigi incarna Arturo, un manager rampante che decreta però la sua stessa fine: l’algoritmo che introduce in azienda lo renderà presto superfluo. In un solo colpo perde fidanzata, posto di lavoro e amici. Alla canna del gas si adatta a fare il rider, ovvero lo schiavo, per la multinazionale Fuuber, trovando l’unica consolazione a un’esistenza sempre più agra e grama in Stella (Pastorelli), l’ologramma “anima gemella” del’app sviluppata dalla stessa Fuuber.
Terzo lungometraggio di Pif dopo La mafia uccide solo d’estate (2013) e In guerra per amore (2016), E noi come stronzi rimanemmo a guardare stigmatizza la nostra sudditanza all’algoritmo globale, la cui prevalenza in ogni campo, dal biglietto per il cinema al mondo del lavoro e ai diritti stesso, è oggi la più grande minaccia alla nostra libertà individuale e collettiva.
Purtroppo, è un film più di pensieri che di idee, sopra tutto idee cinematografiche tout court: la scenografia di Monica Vittucci è la cosa migliore, ma anziché punto di partenza è punto d’arrivo, giacché a Pif e sodali manca la terra sotto i piedi, la forza di trasformare osservazioni condivisibili se non intelligenti in un’opera senziente, innovativa, financo sfidante.
Per dirne una, visto che il rapporto tra Arturo e Stella lo chiama in causa, la comparazione in chiave digital-romantica tra questo e Her di Spike Jonze è devastante, ossia imbarazzante.
De Luigi fa senza infamia né lode il Candide 4.0 o giù di lì, Pastorelli è fantasmatica oltre le ragioni del ruolo, c’è qualche stato dell’arte, dalla festa nazifascista con balletto a braccio teso e altri ammennicoli del Ventennio allo strapotere di pass simil green pass, ma non basta a sottrarre il film dall’anonimato, e dall’inconcludenza. Se Fuuber può piangere, non saranno questi moniti-ni a levare il sorriso a Facebook et similia.