Violet ha il volto di Meghann Fahy, estratta direttamente da The White Lotus. È una donna vedova con un passato di violenza terribile: il compagno la picchiava e, come vediamo nella prima sequenza, è finita con la morte dell’uomo. Ovvio allora che non si fidi dell’altro sesso ed eviti gli appuntamenti galanti, preferendo oggi vivere col figlio piccolo e la sorella che la aiuta. Però… Dopo molto tempo Violet accetta un dating, una serata con un affascinante fotografo di nome Henry, raffigurato in Brandon Sklenar. Si vedranno in un ristorante di lusso di Chicago, il Palate, per conoscersi e forse trovarsi.

Questa la premessa di Drop – Accetta o rifiuta, il nuovo thriller di Christopher Landon dal 17 aprile in sala distribuito da Universal Pictures. Come sempre la Blumhouse, che produce, si mantiene sul pezzo del contemporaneo: il Drop del titolo è un AirDrop, ossia un trasferimento di dati wireless. La donna infatti, appena arrivata all’appuntamento, inizia a ricevere una serie di file sul suo smartphone attraverso una app chiamata DigiDrop. Qualcuno la contatta e le mostra immagini di casa sua, dove si è intrufolato un uomo incappucciato; se non farà esattamente quello che dicono verranno uccisi il bambino e la sorella. Cosa vogliono? Un omicidio per procura, Violet deve uccidere l’uomo che ha davanti, Henry, avvelenandolo durante la cena.

È chiaro che siamo nell’alveo dello smartphone thriller, il film di genere governato dal cellulare, con lo schermo che dà le carte e fa le regole del gioco. I messaggi che Violet riceve appaiono in sovrimpressione a uso del pubblico, cioè per noi che leggiamo, mentre lei deve fare poker face col semi-sconosciuto che ha davanti. Ma c’è di più: visto che il digidrop ha una copertura di quindici metri, anche il deus ex machina si trova nel locale dove si consuma la cena, è uno dei clienti, oppure il cameriere o forse il pianista… Una strategia che serve a seminare una sensazione di sospetto generalizzato e profondo, in cui la protagonista si aggira nel luogo, cammina o va alla toilette e il “nemico” può essere chiunque.

L’intreccio si sviluppa nell’arco di novanta minuti nello spazio del ristorante, quasi unica location con poche puntate esterne, e passeggia sul terreno del gioco mentale cucinava in salsa iper-tecnologica. Da parte sua, Christopher Landon è quello del dittico Auguri per la tua morte, riscrittura del Giorno della marmotta in chiave slasher, e di Freaky che prevedeva lo scambio di corpi tra vittima e serial killer; uno

che ama giocare con la struttura e si conferma qui, perché anche Drop è un congegno, un’idea, un’unica situazione che chiede di giocare con lei. C’è una rivelazione e una soluzione, che naturalmente non si dice, e c’è il sottofondo di una donna abusata che si trova nuovamente a difendere gli affetti più cari, per farlo tira fuori le unghie.

Detto ciò Drop sconta i limiti del film-meccanismo che, una volta innescato, nel percorso si affievolisce e rischia l’esaurimento, limitandosi a farci seguire l’eroina in unità di tempo e luogo che prova a farla franca. Lo svelamento che occupa gli ultimi venti minuti conduce al finale, previsto nel canone di una produzione commerciale. Insomma una boutade a tratti divertente, come un meme di genere, che regge una visione e conduce la partita senza stupire davvero. In altre parole: chi si accontenta gode.