I sogni sono desideri… anzi no, sono film personali.

Nulla di nuovo o dirompente, se si considera che il mondo del cinema è stato associato alla dimensione onirica fin dalla sua nascita. In fondo, sedersi in una sala buia e immergersi in una storia proiettata su un enorme schermo luminoso è un po’ come addormentarsi ed entrare in una nuova dimensione in cui tutto è possibile, fino a quando la riaccensione delle luci sancisce il risveglio.

Ma i padri della psicanalisi cosa ne pensavano? Se Sigmund Freud non faceva mistero di detestare la settima arte (“La riduzione cinematografica sembra inevitabile, così come i capelli alla maschietta, ma io non me li faccio fare e personalmente non voglio avere nulla a che spartire con storie di questo genere” scriveva all’amico e allievo Sándor Ferenczi. “La mia obiezione principale rimane quella che non è possibile fare delle nostre astrazioni una presentazione plastica che si rispetti”), Carl Gustav Jung era più tollerante e affermava che “il cinematografo, così come i romanzi polizieschi, permette di vivere senza pericolo le emozioni, le passioni e le fantasie destinate, in un’epoca umanitaristica, a dover soccombere all’inibizione”.

D’altro canto, sempre secondo la dottrina di Jung, il sogno è sia un prodotto autonomo e significativo dell’attività psichica (in cui l’inconscio si manifesta con autenticità attraverso simboli e archetipi, ovvero l’esatto contrario di quanto sosteneva Freud), sia una sorta di teatro, dove ogni personaggio o elemento sono parte della psiche di chi li sogna.

Dal teatro classico al teatro di posa il passo è breve e non stupisce quindi che, nell’universo di Inside Out, “la fabbrica dei sogni” (definizione che, non a caso, è il nomignolo di Hollywood) della protagonista Riley sia il gigantesco studio cinematografico che dà il titolo questa miniserie Pixar: la Dream Productions, immaginata come un caotico mix fra gli studi della Paramount e quelli della Warner Bros., dove la competizione è spietata e si pensa solo a produrre, produrre e produrre… in tempi sempre più frenetici e con ritmi folli.

© 2024 Disney/Pixar. All Rights Reserved.
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IMPRESS ME -- In Pixar Animation Studios’ all-new series “Dream Productions,” Maya Rudolph lends her voice to Jean, the head of the studio inside Riley’s mind responsible for bringing Riley’s dreams to life every night, on time and on budget. Jean’s goal is simple—keep the hits coming. If things go awry, she has to answer to Headquarters. Written and directed by Mike Jones and produced by Jaclyn Simon, Pixar Animation Studios’ hilarious, mockumentary-style series streams exclusively on Disney+ beginning Dec. 11, 2024. © 2024 Disney/Pixar. All Rights Reserved. (PIXAR)

Ambientata fra il primo Inside Out (2015) e il sequel (2024), Dream Productions è firmata da Mike Jones (sceneggiatore di Soul, 2020 e Luca, 2021), che ne dirige anche l’episodio conclusivo. La prospettiva scelta è quella del documentario backstage, che alterna riprese classiche, dichiarazioni dei vari personaggi, momenti imbarazzanti rubati dietro le quinte, luoghi inaccessibili e imprevisti catturati dal vivo. La grande macchina da presa collocata sul set, invece, coincide con la soggettiva di Riley e si accende ogni volta che la ragazzina inizia a sognare.

Dato che non esiste la possibilità di un secondo ciak (tutto avviene in diretta), il set, la sceneggiatura, i costumi, le musiche, i movimenti di camera, i tagli di montaggio e gli effetti speciali vanno preparati in anticipo. Finché era piccola, occuparsi del mondo onirico di Riley era facile, ma, ora che ha raggiunto i dodici anni e sta per entrare nell’adolescenza, il linguaggio e le tematiche dei suoi sogni (il cui scopo primario è ispirarne le decisioni) devono necessariamente cambiare.

Chi sembra non riuscire a comprendere il problema è Paula Persimmon, pluripremiata cineasta che (forte della sua insostituibile assistente Janelle e dei successi ottenuti con i “film” zuccherosi e glitterati che hanno accompagnato l’infanzia di Riley) si illude di poter continuare nella medesima direzione a oltranza. Quando a Janelle viene finalmente offerta l’opportunità di dirigere la propria opera prima, Paula si trova obbligata a sostituirla con il raccomandato Xeni (nipote della potentissima produttrice Jean Dewberry), spocchioso regista sperimentale di “sogni a occhi aperti”, che disprezza l’uso del copioni e predica l’improvvisazione come suprema forma d’arte.

© 2024 Disney/Pixar. All Rights Reserved.
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ACTION! -- From the world of “Inside Out” comes “Dream Productions,” an all-new Disney+ series about the studio inside Riley’s mind where acclaimed director Paula Persimmon (voice of Paula Pell) teams up with daydream director Xeni (voice of Richard Ayoade) to create the next big tween-dream hit. Written and directed by Mike Jones and produced by Jaclyn Simon, Pixar Animation Studios’ hilarious, mockumentary-style series debuts on Disney+ in 2025. © 2024 Disney/Pixar. All Rights Reserved. (PIXAR)

Lo scontro fra due personalità tanto agli antipodi rischia di ripercuotersi sull’equilibrio esistenziale di Riley e, visto che le sue emozioni (Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia) possono solo guardare i film senza intervenire, la questione va risolta all’interno della Dream Productions. Per chiunque conosca anche solo superficialmente l’ambito audiovisivo (e la spaventosa crisi che sta attraversando), la satira meta-cinematografica è evidente.

Abbiamo la regista boomer egoriferita che non riesce a capire perché il suo lavoro non riscuota più il successo di un tempo, la giovane filmmaker talentuosa che fatica a trovare il proprio spazio, l’hipster polemico (armato di macchina a mano) che reputerebbe commerciale anche Godard, la produttrice invadente (devota al business e convinta di sapere sempre quale sia la soluzione migliore per il pubblico), la star in crisi (Unicorno Arcobaleno), la compartimentazione rigida (c’è un regista specializzato in ciascun ambito dell’intrattenimento: comico, action, sportivo e horror), l’obbligo di inserire una storia d’amore stereotipata, la pressione sugli sceneggiatori, i reboot inutili e la dura legge dell’emozionometro (sostituto simbolico del box-office).

Se i bambini vengono rapiti dai colori vivaci, dalle gag vorticose, dalle animazioni e dai personaggi buffi (vedi Melatonina), gli adulti (soprattutto se cinefili) avvertono un sottile senso di disagio, in bilico fra la nostalgia dell’epoca “di che belli erano i film” (883 docent) e la consapevolezza che l’intero settore audiovisivo impiegherà anni, se non di più, per uscire dall’incubo in cui la pandemia, gli scioperi, il fanatismo ideologico, l’assenza di nuove idee e le continue polemiche sui social lo hanno precipitato.

Forse ci risveglieremo presto da questo momento buio e lo dimenticheremo con altrettanta rapidità. O forse no. Ma l’importante è continuare a creare nuovi sogni per chi ancora crede nel cinema, sia che ami l’intrattenimento più classico, sia che pensi che “l’arte dovrebbe sovvertire le aspettative del pubblico”.