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Doppio sospetto
Due case. Due famiglie. Due donne. Due bambini. Felicemente simmetrici. Finché un tragico incidente non rompe il gioco di specchi, facendo cocci di consolidati legami, specie tra le due donne.
Tratto dal romanzo di Barbara Abel e trasposto negli anni ’60, con i suoi cromatismi fiammanti e la verginità tecnologica, Doppio sospetto di Olivier Masset-Depasse è un thriller psicologico che dichiara a ogni fotogramma la sua venerazione per i classici (Hitchcock, ma anche Sirk), al punto tale da sacrificargli anima, guizzo e originalità.
Detto altrimenti, l’impeccabile lavoro sulle parti (dal dècor alla recitazione alla musica) non rende l’insieme migliore di un’esercitazione di genere. Gli manca un po’ di temperatura, sottigliezza, autentico malessere. Peccato, perché le due protagoniste, Veerle Baetens e Anne Coesens, possiedono un contegno sinistro, in tono con una rievocazione d’epoca perfettamente modellata e malsana.
La regia però non trova mai una sua dimensione rispetto al congegno e alla partitura, tutto appare troppo scritto. E la complessità psicologica, tra traumi, transfer, meccanismi di difesa squisitamente femminili, viene mortificata a favore di astuzie narrative e prevedibili colpi di scena.