PHOTO
Dope Thief è una storia di redenzione tra spaccio e violenza nei sobborghi e le campagne di Philadelphia. Dove tutti sono nemici tra loro, la serie esplora una storia di amicizia ventennale, quella che lega Ray e Manny, cresciuta rigogliosa e forte tra rovi e sterpi.
Sfuggire a un destino che appare già segnato dallo stigma della violenza e soprattutto della povertà, senza speranza, è qui soltanto il punto di partenza per affrontare altri topoi del genere crime. Esistono altre realtà e possibilità inesplorate, sembra rivendicare questa storia. Ma metterle in atto sarà la parte più difficile.
Con quel poco che mette a disposizione una realtà grigia e monotematica, il nostro duo si reinventa sì malfattore, ma dal cuore puro: nessuna violenza, soltanto mestiere e credibilità. Agire da professionisti è il loro mantra quotidiano. Si fingono agenti della DEA, l'agenzia federale statunitense che si occupa di stupefacenti, e rapinano i piccoli spacciatori. La droga la distruggono, i soldi li tengono. Le vittime, che sono piccole per importanza ma anche per età, ben si guardano dal denunciare i fatti, e i nostri dormono sonni quasi tranquilli. E togliendo dalla circolazione la droga, si sentono pure con la coscienza pulita. In fondo, sono un po' come Robin Hood, no? Hanno anche un santo protettore (dei ladri) che veglia su di loro in forma di medaglietta da indossare.
Tutto va bene finché non va male, e i malcapitati si imbattono nel più grande corridoio segreto della droga della costa orientale, con implicazioni e problemi che si elevano all'ennesima potenza. Naturalmente, ne nasce una questione di vita e di morte, e non soltanto dei due. Tutti gli affetti a loro vicini ne sono presto coinvolti, e scorreranno fiumi di sangue.


Dope Thief è tratto dall'omonimo romanzo d'esordio di Dennis Tafoya, che ha riscosso grande interesse tra gli esperti del genere così come dai suoi entusiasti lettori. Tafoya è una voce nuova, eppure forte nell'intingere la sua penna in microstorie criminali che difficilmente otterrebbero più di tre righe in cronaca nera.
La sua capacità di muoversi con sicurezza nei territori suburbani, mostrandone miseria e nobiltà con precisione, rimane intatta nella trasposizione televisiva firmata da Peter Craig, già sceneggiatore di The Batman e soggettista di Top Gun: Maverick. Il mondo che vediamo è credibile e avvolgente, ed è sicuramente uno dei punti di forza della serie. Alcune analogie possono far tornare alla mente The Wire, che più di vent'anni fa travolse (in positivo) il racconto poliziesco con la sua spietatezza nell'evidenziare i legami tra criminalità e traffico di stupefacenti, povertà e "criticità" del sistema educativo e giudiziario.
In Dope Thief l’avanzamento narrativo, o meglio il suo allargamento per cerchi concentrici sempre più ampi e incontrollabili, è effettivamente il medesimo già visto in The Wire. L'accostamento tra le due serie non è così peregrino, se consideriamo che la scrittura di Tafoya è stata spesso paragonata a quella del romanziere George Pelecanos, non a caso uno degli ideatori proprio di The Wire. Quello che in Dope Thief funziona meno è l'alchimia tra generi, in particolare la presenza di alcuni (troppi) innesti comici che più che allentare la tensione tendono a svalutare le scene in cui sono collocati. Su tutte, quella in cui il protagonista, ferito gravemente, non resiste a una fetta di torta di frutta e la addenta, continuando a guaire dal dolore. Molto ben riuscite invece le parti più puramente crime e drama perché fortemente legate e propedeutiche l'una all'altra vicendevolmente, con inaspettati slanci di profondità in cui i personaggi si interrogano su cosa sia davvero la famiglia, se sia un padre carcerato oppure un altro ladruncolo incontrato per caso in carcere minorile, o la donna che ti ha cresciuto e protetto senza essere tua madre.


L'amicizia in Dope Thief è un valore importante e prezioso, ma riuscirà a reggere al contraccolpo generato dall'enorme, improvvisa disponibilità di denaro? Probabilmente nessuno di loro ha mai davvero pensato a questa possibilità. Non sono avidi, Manny e Ray: cercano soltanto di tirare a campare e proteggere la famiglia, qualunque forma abbia, o cercare di crearne una. Ma il prezzo da pagare è altissimo: nessuno ne uscirà puro, né tantomeno innocente. E questo è un nodo fondamentale, perché dietro ogni azione criminale perpetrata dal duo non c'è soltanto il calcolo, ma anche il dover venire a patti con la propria coscienza. Una sorta di strenua difesa di un onore personale piuttosto malconcio, ma ancora capace di fare da guida, una flebile luce nel nero.
Il caleidoscopio di personaggi apparentemente così lontani tra loro riflette bene quanto il traffico di stupefacenti e il lauto indotto che se ne ricava sia incistato nei più svariati ambienti di ogni gradino della scala sociale ed economica statunitense e, quindi, molto difficilmente sradicabile. Ci vorrebbero forse degli eroi, ma in questa storia non ce ne sono. Gli esseri umani di Dope Thief sono fin troppo umani e fin troppo fallibili. E anche in questo sta il loro fascino.
Brian Tyree Henry (Atlanta, Causeway, Bullet Train) interpreta Ray, la mente che ha creato l'idea di fingersi agenti della DEA ma che ancora non riesce a tenere testa all'impetuosa Theresa, una minuta (rispetto a lui) Kate Mulgrew, che abbiamo visto un po' ovunque, da Star Trek: Prodigy a Orange Is the New Black e oltre. Altro veterano cinematografico e televisivo è Wagner Moura (Narcos, Civil War, Tropa de Elite - Gli squadroni della morte e Tropa de Elite 2 - Il nemico è un altro) nel ruolo di Manny, capace di slanci sentimentali incredibili e portatore di imprevedibilità nella vita di chiunque altro. Marin Ireland con la sua sofferente e impavida Mina si conferma ancora una volta un'attrice sorprendente e magnetica. Ridley Scott produce, e gira personalmente l'episodio pilota.