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Don't Cry, Butterfly
Quante volte il cinema ha cercato di rappresentare il male, personificandolo oppure oggettivandolo quale presenza esterna che ci inquieta e ci assilla o come motore di azioni dettate dalla paura e dall’angoscia. E se lo spirito maligno fosse una fastidiosissima infiltrazione del soffitto che possiamo vedere solo noi? E come è possibile scacciarlo?
Da questi presupposti si muove la protagonista di Don’t Cry Butterfly, esordio al lungometraggio della vietnamita Dương Diệu Linhm, classe 1990, che mira a rappresentare in modo non convenzionale storie di donne di mezza età, tristi, angosciate o assillanti. I suoi cortometraggi, presentati in diversi festival internazionali, mescolano soggetti iperrealistici con elementi di quel realismo magico profondamente radicato nella mitologia e nelle superstizioni del Sud-Est asiatico.
Così avviene anche in questa pellicola nella quale Tam (una intensa Lê Tú Oanh), indefessa lavoratrice in una location per matrimoni, dopo aver scoperto in televisione il tradimento del marito e inquietata da una misteriosa infiltrazione del soffitto, decide di rivolgersi a un “maestro” di rituali magici per riconquistare il coniuge. Ad essa fa eco la figlia Ha, impegnata a sognare un futuro all’estero, mentre riversa all’amico tutte le sue frustrazioni, ed essendo anch’ella l’unica a riuscire a vedere la gocciolante crepa nel soffitto la quale, più passa il tempo, diventa sempre più ingombrante e spaventosa. Tam e Ha hanno vite normali e problemi ancora più comuni, eppure inusuali sono le vie che cercano per trovare una soluzione alle loro afflizioni, accomunate da una parola d’ordine: fuggire.
Se per la giovane Ha questo vorrà dire sognare di scappare dal proprio paese natale, per Tam è la fuga dalla realtà per rifugiarsi in un mondo esoterico e mistico – che insieme ad altre amiche non esita a deridere per alcuni rituali al limite del consentito – occasione per alimentare una speranza che sembra aver perso totalmente.
A questo si innesta l’immagine dello spirito malvagio, che a tratti fa toccare al film tonalità horror con citazioni al genere legato ai blob, visibile solo alle donne protagoniste e che ben esemplifica l’idea stessa del male di vivere: una crepa, una infiltrazione che pian piano prende il sopravvento e fa marcire e inondare tutto il resto della propria esistenza. Non viviamo a compartimenti stagni, e quando il male penetra in una dimensione della nostra vita, contamina il resto e, se questo non viene condiviso con le giuste persone, ci porta a decisioni irrazionali e pericolose, cercando solo e soltanto una via di fuga. Qualsiasi essa sia.