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Django & Django si potrebbe chiamare benissimo L’altro Sergio, perché a dominare ogni minuto del documentario di Luca Rea non è l’intervistato d’eccezione, cioè Quentin Tarantino, ma Sergio Corbucci, il secondo miglior regista di western italiani dopo l’omonimo Leone.
Dopo quasi vent’anni di rivalutazioni e ripensamenti sul nostro cinema bis, non desta certo impressione che l’ormai venerato maestro Tarantino si spenda in prima persona per celebrare il prolifico regista romano. Non fosse altro che di questa lunga e fortunata operazione storico-critica l’autore di Pulp Fiction è stato padrino eccellente, sin dai tempi delle retrospettive veneziane della gestione di Marco Müller dedicate alla “storia segreta del cinema italiano”.
Tutto sommato, al di là dell’entusiasmo del nostro, la presenza di Tarantino in questo Django & Django ha soprattutto la funzione di accompagnare l’omaggio a Corbucci fuori dai confini nazionali. Tarantino sa che il suo è soprattutto il nome per “consacrare” un film del tutto eccentrico rispetto ai coevi documentari in gloria di cineasti.
E a confermarlo c’è l’inserimento, in apertura, delle sequenze di C’era una volta… a Hollywood in cui Leonardo DiCaprio vola in Italia per riciclarsi nei western proprio con la regia di “The Other Sergio”: una dichiarazione d’intenti che funge anche come atto d’amore del regista americano nei confronti di uno dei suoi punti di riferimento, già citato ovviamente anche in Django Unchained.
Per tracciare il profilo di un maestro del cinema popolare, Rea (anche sceneggiatore con Steve Della Casa) scelgono di condensarne la biografia concentrandosi sulla seconda metà degli anni Sessanta, quando Corbucci trova il grande successo grazie a Django. È la stagione del western all’italiana e le testimonianze di Franco Nero e Ruggero Deodato ne restituiscono la sapienza e il fango, l’intuizione e il trucco, la capacità di individuare un’immagine memorabile e la fortuna di indovinarne la potenza iconica.
Il documentario si focalizza nel lustro che va da Django a Gli specialisti, con una coda verso Che c'entriamo noi con la rivoluzione? (1972) per indicare il declino del genere, e non mancano pezzi di repertorio abbastanza curiosi: citiamo l’intervista a Corbucci che spiega Il grande silenzio accanto a Jean-Louis Trintignant, ridotto a mutismo come il protagonista di quello che è forse il suo film più bello.
Perciò più dell’appassionata performance cinefila di un Tarantino a restare impressi sono gli aneddoti e i retroscena sciorinati dalla star creata da Corbucci e dal regista che gli fu assistente (“Da Bolognini ho imparato l’eleganza, da Rossellini il racconto, da Corbucci la crudeltà” sintetizza Deodato). Uno spin off di quell’inesauribile “avventurosa storia del cinema italiano” che è sempre un piacere ascoltare. Dedicato a Nori Corbucci, inseparabile moglie di Sergio recentemente scomparsa.