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Disconnect
Le relazioni ai tempi di internet, si sa, sono notevolmente facilitate, non fosse altro perché si possono tessere rapporti senza metterci necessariamente la faccia. In questo la rete è come una madre, apre le braccia e conforta chi non ha il coraggio di confrontarsi con l'universo affettivo e sociale più prossimo, sia esso rappresentato da genitori, figli, amici, compagni di scuola, colleghi, amanti. In quel magma caotico e privo di volto che è la rete tutti sono amici, di conseguenza i pericoli dovrebbero essere assenti. Un mito che bisognava sfatare e a farsene carico è l'americano Henry-Alex Rubin con Disconnect, un film tessuto di storie a incastro per raccontare di internet i tranelli, le zone d'ombra, la capacità di far sparire insieme a volti e nome persino le identità.
In scena alcuni personaggi che sono lo stereotipo dell'utente medio: la coppia di studenti che per tormentare un compagno su Facebook si cela dietro il nome di una adolescente innamorata di lui, la giornalista a caccia di scoop che conquista la fiducia di un giovane che si prostituisce on line mostrandosi in atteggiamenti erotici; il detective esperto di informatica che non riesce ad amare il figlio ma è invece quanto mai sensibile ai problemi delle persone cui via internet vengono sottratti identità e soldi in banca; la coppia che si ritrova con il conto svuotato non meno dei loro cuori devastati dalla morte delll'unico bambino. Un'umanità varia che non sa più parlarsi, legata da molto meno dei famosi sei gradi di separazione poiché le loro vicende si incrociano più e più volte prima del finale. Un momento drammatico in cui a tutti è chiesto di abbandonare i profili fittizi per mettersi totalmente in gioco.
Rubin conosce bene le regole e con Disconnect va sul sicuro: ottimi dialoghi, montaggio serrato al servizio di una costruzione fatta di tasselli funzionali l'uno all'altro, attori bravi e incisivi a rendere credibile una sceneggiatura che a voler trovare un difetto al film è a tratti prevedibile. Ma il quadro funziona, grazie soprattutto alla capacità del regista di armonizzare i vari elementi narrativi puntando molto sui volti e i corpi quanto mai veri degli interpreti.