Filmaker investigativa di successo, usa a rovistare nelle private impudicizie dei famosi senza prendersi gli schizzi, la bella e algida Catherine Ravenscroft (Cate Blanchett) ha a Londra una vita ricca, privilegiata, quasi perfetta, con un marito devoto e danaroso Robert (Sacha Baron Cohen), il figlio recalcitrante Nicholas (Kodi Smit-McPhee) e la sensazione stampata in faccia di avercela fatta. Finché non riceve un misterioso libro autopubblicato, The Perfect Stranger, il cui disclaimer (“scarico di/da responsabilità”) dichiara che fatti e personaggi ivi riportati sono reali. L’azzimato e vedovo Stephen (Kevin Kline), già professore, medita vendetta formato famiglia. Anni prima, una coppia di adolescenti inglesi se la spassa nel Bel Paese, finché lei non torna a Londra per un lutto, e lui a Forte dei Marmi non incontra una sensuale giovane donna con figlio. Quale filo, quale segreto lega le tre storie?

Regista, sceneggiatore e produttore, Alfonso Cuarón è tornato: il talentuoso e pluripremiato messicano adatta in sette puntate l’omonimo best seller, da noi La vita perfetta, di Renée Knight, ambientandolo fra Inghilterra e Italia, dove peraltro ormai vive.

Fotografia di Emmanuel Lubezki e Bruno Delbonnel, colonna sonora di Finneas O’Connell, nel cast anche Lesley Manville e la bomba sexy Leila George, Disclaimer è la vita come un romanzo anglosassone, laddove la traduzione audiovisiva potenzia la riflessione sul pregiudizio, la sindacabilità delle verità, il legittimo sospetto e altre umane, umanissime sconcezze.

Cambia l’occhio ma la serratura l'è sempr quèla, e Cuarón sa dannatamente come guardarvi e come farci vedere: il romanzo di Knight si carica di vissuto, le pagine geometriche scoprono la finesse, gli attori, e che attori, ci prendono per mano sull’orlo del precipizio, mentre la voce narrante (Indira Varma) dispiega e coordina, assevera e dirime quale pilota automatico e assai onnisciente di trama e trame.

Blanchett, ovvero Catherine, è la stronza che appare, Kline, ossia Stephen, il giustiziere a mezzo editoriale, o c’è di più, e che cosa?

La Mostra di Venezia, che l’accoglie prima dell’approdo su Apple Tv l’11 ottobre, battezza una fuoriserie, capace di gareggiare, e vincere facile, con i lungometraggi: Disclaimer ascrive al formato espanso i crismi dell’Arte cinematografica, ne conferma la corrente e prevalente fortuna audiovisiva, segnatamente, dischiude al thriller nell’ampiezza temporale, e nella profondità che non è dei caratteri ma degli incastri narrativi, altre possibilità, e inedite occasioni. Che stanno nell’umano, nel macbethiano ridotto a tresca con morto, al connubio avito e sovente avido di eros e thanatos: avercene.

Così scrivevamo dopo la visione dei primi quattro di sette episodi, essendone rimasti, e quanto piacevolmente, folgorati. Poi, abbiamo visto i rimanenti tre, e ci siamo dovuti amaramente ricredere: Disclaimer non è il quasi capolavoro che si era appalesato, proprio no.

Gli ultimi e decisivi capitoli inficiano assai tenuta e portata dei precedenti, che con tre storie intrecciate dipanavano suspense, piacere e curiosità, forti di quella intelligenza poetico-stilistica che abbiamo giustamente lodato. L’intorcinamento e la recrudescenza della vendetta di Stephen, la reazione di Catherine e quindi la deflagrazione della propria famiglia, l’inquadramento, e il ribaltamento veridittivo, della terza storia “in costume”, tutto lascia sullo schermo macerie, svilendo insieme verosimiglianza, consistenza e interesse delle promesse e premesse – con la voce over che progressivamente si falsifica e indirizza ormai a mo’ di videogioco. Già, come si traduce mandare in vacca?

Questo fa Disclaimer, di Robert uno stupido, di Catherine e Stephen vittime o carnefici, poco ci importa: non si uccidono così anche le intese fuoriserie? Caro Cuarón, visto che l’Italia la frequenta si riascolti Mina: l’importante è finire. Bene.