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Dieci inverni
Due ragazzi, due caratteri orgogliosi e capricciosi, una Venezia galeotta e un amore destinato a svilupparsi con molta fatica attraverso il freddo di appunto Dieci inverni, come le piantine che germogliano protette dalla neve. Questi sono i semplici e sempre efficaci ingredienti del film di Valerio Mieli, presentato all'interno della sezione Controcampo Italiano della 66. Mostra di Venezia e ambientato proprio tra i canali della Serenissima, più qualche excursus tra i ghiacci dell' "esotica" Russia.Due location insolite per una love story dai contorni classici, fatta soprattutto di schermaglie amorose davvero da manuale, dove solo in lontananza si può intravedere un discorso, comunque non troppo sviluppato, sulla difficoltà delle nuove generazioni a intrecciare relazioni affettive solide e a intraprendere percorsi di vita dotati di una minima stabilità. Una specie d'indecisione esistenziale rappresentata dal continuo partire e tornare dei due protagonisti, sospesi tra più nazioni e più strade possibili, quasi bloccati nel gelo della stagione più rigida ma anche più rigogliosa della propria storia personale.Nonostante l'evoluzione del racconto proceda a intervalli regolari e piuttosto prevedibili, Dieci Inverni riesce dunque a raggiungere lo stesso una certa efficacia attraverso i suoi ossimori, attraverso la costruzione di un'atmosfera insieme algida e calda, dove la rappresentazione dei sentimenti anche più banali non è mai spinta fino all'eccesso o alla macchietta, cosa sempre più rara nel cinema italiano di oggi. Per quanto iscrivibile nell'inflazionata categoria dei film romantici e struggenti post-adolescienziali, in fin dei conti l'opera di Mieli risulta essenziale e godibile come una sana e moderata dose di miele, anche grazie all'ottima interpretazione dei due protagonisti di Isabella Ragonese e Michele Riondino.