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Diabolik chi sei?
Chi è veramente Diabolik? Le sorelle Giussani nel marzo del 1968, a cinque anni dalla pubblicazione del primo numero del leggendario fumetto, provarono a rispondere a questa domanda. Ora provano a farlo anche i Manetti bros. con l’ultimo capitolo della trilogia dedicata al Re del Terrore dal titolo Diabolik chi sei?
Presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Gran Public e in sala dal 30 novembre con 01 distribution, il film vede questa volta il mitico Diabolik (Giacomo Gianniotti) che si rivela con l’instancabile ispettore Ginko (Valerio Mastandrea).
Al loro fianco ritroviamo l’affascinante Eva Kant (Miriam Leone) e la carismatica e anticonvenzionale Altea (Monica Bellucci). Completano il ricco cast di quest’ultima avventura: Pier Giorgio Bellocchio, nel ruolo del sergente Palmer, Chiara Martegiani, Massimiliano Rossi, Carolina Crescentini, Paolo Calabresi, Lorenzo Zurzolo e Barbara Bouchet.
Una serie, prodotta da Mompracem con Rai Cinema, dall’impronta diversa: nel primo film Diabolik è raccontato attraverso gli occhi di Eva Kant, nel secondo attraverso quelli di Ginko e in quest’ultimo attraverso sé stesso. D’altronde questa volta Diabolik, catturato insieme a Ginko da una banda di criminali, si ritrova legato in una cantina faccia a faccia, come in uno specchio, con l’ispettore. Senza via d’uscita e certo di andare incontro a una morte inevitabile deciderà di raccontare il suo misterioso passato. Nel frattempo Eva e Altea li cercano disperatamente.
La seconda volta era meglio della prima, ma purtroppo non possiamo dire che la terza sia meglio della seconda. Insomma, la trilogia non è in crescendo. Anzi, è in arresto, tornando di nome (il titolo del primo era L’arresto di Diabolik) e di fatto all’iniziale e poco convincente film, liberamente ispirato al terzo albo.
Insomma questa volta Giacomo Gianniotti, volto noto per lo più per Grey’s Anatomy, non basta a risollevare le sorti di un film sempre molto elegante, ma senza guizzo. E a poco servono anche le novità e i cambiamenti apportati: il passaggio dagli anni ’60 del primo e del secondo capitolo agli anni settanta, le nuove scenografie, i diversi costumi, la fotografia più eccentrica, le musiche, sempre di Pivio e Aldo De Scalzi, questa volta funk (per il brano dei titoli di testa, dopo l'oscurità di Manuel Agnelli e l'eleganza di Antonio Diodato, i Manetti sono passati al funky frizzante dei Calibro 35 in coppia con Alan Sorrenti) e perfino lo stile in bianco e nero un po’ espressionista degli anni ’40 quando si parla dell’infanzia di Diabolik. Purtroppo tutto rimane piuttosto freddo e di nuovo l’emotività sembra essere scomparsa in quest’ultimo capitolo.
Un capitolo nel quale dominano donne libere e indipendenti, ovvero Eva Kant e Altea, che mettono l’intelligenza al servizio dell’amore e del sentimento. Al contrario degli uomini. Ma non è questo il motivo per cui Diabolik perde fascino e mistero. E non è neanche perché si racconta rivelando le sue origini (Lorenzo Zurzolo recita nei panni di Diabolik da giovane). Fatto è che questa volta il Re del Terrore non terrorizza e non appassiona.