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Demons, scritto e diretto da Daniel Hui, è film assolutamente e sin da subito peculiare. Diviso in due parti, la prima è dedicata a Vicky e al suo dramma psicologico, un tormento che la avvicina, apparentemente, alla pazzia. Vicky vuole recitare, solo così, dice, potrà riunire il suo corpo e la sua mente, che tendono invece a separarsi, lacerandola e abbandonandola nel mezzo.
La ragazza incontra un regista, curiosamente chiamato Daniel (ma non si tratta, fisicamente, di Hui, che interpreta un comprimario). Questi ne sfrutta le cicatrici psicologiche, le debolezze più intime, le confessioni, per trarne una performance efficace.
Non è però fino al midpoint che il film si lascia finalmente contemplare “nudo”, per intero. Un cambio di prospettiva repentino spiazza lo spettatore, per indebolirlo e spaventarlo con una costruzione del dramma, stavolta dal principio, nella mente del nuovo protagonista.
La follia si rivela molto più traumatica, dopo aver attraversato lo specchio, e mostra sfumature di surreale e sovrannaturale decisamente marcate e inquietanti.
Un horror improprio, questo Demons, che non usa nessuno degli strumenti del genere, con l’ambizione (o la presunzione) di sostituirli con una tensione organica, naturale: scena dopo scena, i soli effetti speciali sono suggestioni estetiche, sovrimpressioni violente, estemporanee, accentuate da docce sonore improvvise, ma non improvvisate.
Peccato che il film osi troppo e manchi il bersaglio, specialmente considerando il rush finale, che conduce a un epilogo climatico talmente parossistico da essere poco tangibile, poco soddisfacente.
Restano intuizioni registiche di grande potenziale. Un montaggio brusco di stacchi precoci voluti e molto efficaci, ad esempio. Ma per ora, e speriamo per poco, è potenziale ancora depotenziato.