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Dear Wendy
Dick, il Jamie Bell fu Billy Elliot, è un adolescente disadattato. Vive in una squallida cittadina di un'America senza coordinate spazio-temporali. In un negozio compra una pistola giocattolo: sarà un suo collega patito delle armi da fuoco a svelargli che si tratta di una vera pistola. Dick la ribattezza Wendy, la vezzeggia e non se ne separa mai. I due ragazzi danno vita con altri perdenti alla banda segreta The Dandies: ognuno possiede una pistola, con la quale esercitarsi al tiro e riguadagnare la consapevolezza dei propri mezzi. Lo statuto su cui i dandies giurano prevede che l'uso delle armi rimarrà confinato al gioco. Ma quanto durerà? Ritornano i due demiurghi del gruppo estinto Dogma: Lars Von Trier alla sceneggiatura e Thomas Vinterberg alla regia. Cambia lo stile del racconto – del decalogo Dogma rimangono articoli smozzicati - ma non la sostanza della storia: tragedia surreale che rielabora l'odio viscerale di Von Trier per gli Stati Uniti qui stigmatizzati nella proliferazione delle armi da fuoco. Le immagini sono permeate dal countdown dell'ineluttabile tracollo come già in Festen e si respira la stessa claustrofobia. Una claustrofobia esistenziale contrappuntata dall'emozionante colonna sonora degli Zombies. La violenza è stilizzata, presa direttamente dagli anni '70 - come del resto le atmosfere e la cornice del film - e conclusa in una piazza scarnificata quasi come in Dogville. Cinema che introietta lacerti di pellicole didascaliche sulle armi da fuoco e abbozzi di mappe, citazionismo seventies (da Butch Cassidy in giù) e fermo-immagini graffitati, pacifismo ideologico e amor fou belligerante. Tesi e antitesi in un calderone in perenne ebollizione, che cuoce a fuoco lento angoscia e tensione e arroventa vite disperatamente fesse. Il risultato? Uno spettacoloso - e meditato - fallimento.