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Deadpool
Non che non ci fossero già dei supereroi poco super e ancor meno eroi nell'universo in espansione della Marvel. Prendete Guardiani della galassia, che peraltro era nettamente più interessante dell'ultimo brutto anatroccolo di casa: Deadpool. Quest'ultimo però è stato attenzionato dalla stampa come pochi. Il motivo è presto detto: c'è una scena in cui Ryan Reynolds , ovvero Wade Wilson, ovvero l'uomo sotto la maschera, viene sodomizzato dalla sua fidanzata (una scollacciata Morena Baccarin) armata di dildo. Il che ha meritato al personaggio l'epiteto di etero-flessibile (non sembra in realtà che la cosa gli piaccia, ma comunque) e l'elezione a icona nell'iperuranio sessualmente elastico di oggi.
Pazienza se poi ci sono altri 107 minuti e mezzo di film in cui succede nulla. Il problema dei film parodia - e questo, con buona pace degli sceneggiatori, lo è - è che oltre lo sberleffo non hanno molto da offrire. Sono anni che la corazza super-eroica viene ammaccata da riletture eversive, ermeneutiche ardite, versioni cinematografiche sempre più cupe, dolenti, umanoidi. Trovare un eroe tutto d'un pezzo oggi è forse più complicato che reperire un politico onesto. Deadpool si accanisce, a tratti pure con ferocia, sul cadavere già putrefatto dei supereroi, senza però sostituirlo con niente e nessuno.
Davvero c'è ancora qualcuno in giro che gode a sfottere tanto per sfottere? Visti gli incassi americani sembrerebbe di sì. Grazie a Dio però le risposte del mercato non soddisfano le domande della specie (nemmeno quelle di un critico, ovvio), a meno di non sostenere che sdoganare presso il cinefumetto battute, vezzi e metafore della commedia più sboccata voglia dire realmente dissacrare o che un po' di interiora spappolate sull'asfalto significhi automaticamente diventare scomodo.
Questo Deadpool va preso per quello che è, un intermezzo cazzaro nell'interminabile mitologia Marvel. Roba da nerd. Più astuto e conformista di quanto non voglia apparire. Funziona bene per una mezz'oretta, il tempo di assorbire lo shock, poi il marketing finisce e inizia un film che continua a girare su stesso, incaponendosi sui tic, le prodezze linguistiche e le frustate autoironiche di una scrittura a tratti brillante e spesso compiaciuta, apparecchiata su un plot basic tipo boy saving girl, un evergreen da Rapunzel a Mario Bros.
Ryan Reynolds doveva farsi perdonare Green Lantern e ci riesce, anche se (o proprio perché) per metà film deve recitare con una faccia da polpetta fritta. I due transgenici che lo spalleggiano - l'adolescente con l'hair look di Sinead O' Connor e Colosso (Brianna Hildebrand e Stefan Kapicic) - potevano essere sfruttati meglio mentre funziona la coppia di cattivi (Ed Skrein e Gina Carano), due da prendere veramente a calci.
L'appagamento è un'altra cosa e la puzza di furbata resta.
Fondamentalmente, ripetere ogni secondo di essere fico e intelligente non lo fa essere di più.