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Dark Matter
Chicago, giorni nostri. Jason Dessen è un docente di fisica in una piccola università, ha una moglie che adora, Daniela, un figlio adolescente, una casa piena di amore e piante verdi sotto un rumoroso ponte ferroviario. Oppure: Jason è un genio della fisica, pluripremiato per le sue creazioni incredibili, una in particolare; non si è mai sposato, né ha avuto figli, e Daniela è una celebre e affascinante artista visuale, una sua vecchia conoscenza. Ma anche: Jason è un uomo violento e alle spalle ha un matrimonio fallito. Con una certa Daniela, ovviamente. Tutte queste vite – e molte, molte altre - sono possibili e reali, contemporaneamente. Come si spiega? Concetto non facilmente afferrabile, il multiverso è un territorio che affascina l’umanità dall'istante in cui è stato concepito. Un non luogo, un non spazio, in cui convivono separatamente le diverse realtà di cui si compone il nostro mondo, invisibili ai nostri occhi.
Correva l'anno 2016 quando lo scrittore Blake Crouch pubblicava Dark Matter, thriller fantascientifico destinato a diventare best seller nel giro di poco tempo. Acclamato da un famelico pubblico di lettori, il romanzo è adesso una serie pronta a rinnovare il successo del libro grazie a una solida suspense, tante domande in cerca di risposte e una messa in scena a tratti sorprendente. Dark Matter si inserisce fluidamente nel filone sci-fi che affronta realtà parallele, già calcato tanto dal caro vecchio telefilm Quantum Leap quanto dalle più moderne serie Fringe, Once Upon a Time nonché dalla serie animata Rick e Morty; una categorizzazione dalle maglie larghe e accoglienti, pronte a includere anche prodotti molto diversi tra loro quali L'uomo nell'alto castello, serie tratta dal romanzo di Philip K. Dick La svastica sul sole, basato interamente su un'ucronia, ma anche la saga cinematografica di Ritorno al futuro coi suoi rocamboleschi paradossi temporali.
In Dark Matter, in italiano “materia oscura”, il colore dominante è senz'altro il nero thriller: il protagonista si trova a vivere un terribile incubo dal quale non sa come uscire, arrivando a dubitare della propria sanità mentale. Nessuno sembra più conoscerlo, sua moglie Daniela (la sempre splendida Jennifer Connelly, il cui magnetismo acqua e sapone è uno dei punti di forza della serie) non è sua moglie e suo figlio non esiste. Eppure, all'anulare sinistro spoglio, è rimasto il segno della fede che lui è certo di indossare da ben sedici anni. Aggrappandosi a questa unica certezza, Jason indaga. E quando finalmente riesce a raccapezzarsi scopre di essere in guerra con il nemico peggiore che mai potrebbe aver immaginato: una persona subdola, meschina e dalle capacità molto superiori alle sue. Non soltanto la vita del nostro Jason, ma anche quella della sua famiglia sono in pericolo, e chissà quante altre.
A dare volto e corpo a Jason è Joel Edgerton, notissimo da tempo ai fan della saga di Guerre stellari (Star Wars: Episodio II - L'attacco dei cloni, Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith) e attivo più recentemente nelle miniserie La ferrovia sotterranea e Obi-Wan Kenobi e nell'acclamato lungometraggio di Paul Schrader Il maestro giardiniere. Il ruolo di Jason offre a Edgerton la possibilità di costruire un'interpretazione fatta letteralmente di tante sfaccettature: fondamentalmente, il personaggio è sempre lo stesso, ma ogni incarnazione va distinta dalle altre attraverso variazioni a volte sottili, a volte clamorose, ma che devono essere sempre tutte parimenti credibili, anzi, reali. Una sfida ghiotta per qualsiasi attore, che Edgerton accoglie con mestiere e senza mai strafare.
Il primo Jason che incontriamo è un mite insegnante che si accora per la sorte dei suoi studenti, tutti indifferenti alla sua lezione sul famoso paradosso del gatto di Schrödinger, uno dei cardini della meccanica quantistica. Più tardi, quella stessa sera, il nostro Jason festeggia la vittoria di un importante riconoscimento nel campo della fisica appena vinto dall'amico ed ex collega ricercatore Ryan Holder (Jimmi Simpson). Rientrando a casa, Jason viene rapito da uno sconosciuto e costretto a denudarsi, fede nuziale compresa. "Quella che stai vivendo è una vita felice?", gli domanda l'uomo dal viso travisato e la voce irriconoscibile, prima di colpirlo e fagli perdere i sensi. Al suo risveglio, Jason è attorniato da persone preoccupate e affettuose che gli danno il bentornato chiamandolo per nome, ma lui non ha mai visto nessuno di loro in vita sua. Confuso e stordito, il protagonista presto subirà altre rivelazioni sconcertanti sulla sua vita, privata e professionale.
Nell'incarnare questi (e altri) Jason, il prode Edgerton non è mai a disagio nell'alternare caratterizzazioni più sulfuree ad altre più melanconiche, il marito ideale all'incubo di ogni moglie, il padre affettuoso al suo contrario, dando corpo a un personaggio-miscela in cui, decantando a seconda del contesto, viene separata una sfaccettatura a scapito di un'altra, senza però che l'essenza evapori completamente. Il nostro trova infine un appiglio nella dottoressa Amanda Lucas (Alice Braga, Io sono leggenda, Elysium, The Suicide Squad - Missione suicida) e insieme dovranno cercare un modo per far tornare "a casa" il Jason strappato alla propria esistenza "di partenza".
Ma siamo sicuri che sia proprio questa l'esistenza giusta? Tutte le altre esistenze possibili non hanno forse diritto di essere considerate legittime? E se così è, se ogni variazione è ammissibile e concreta, se la realtà è solo un punto di vista, su quali basi possiamo costruire le nostre scelte, i nostri doveri e le nostre responsabilità? Al di là degli interrogativi etici e morali, talvolta posti in maniera un po' invasiva e allo stesso tempo inevitabilmente semplicistica, la serie affronta quesiti filosofici: chi siamo, davvero? Cosa definisce realmente una persona? Siamo il risultato delle nostre scelte, suggerisce Blake Crouch, anche ideatore e sceneggiatore di alcuni episodi. Ed è per questo che l'autore definisce la sua "una storia sulla strada non presa", identificando un preciso istante della vita di Jason dal quale dipenderà, da quel momento in poi, un'esistenza diversa.
Una scelta dunque, e non il destino, o il caso, come invece avveniva a Gwyneth Paltrow in Sliding Doors, in cui, ricordiamo, della protagonista si raccontavano due vite alternative legate al suo prendere o perdere il treno per casa. Ma in Dark Matter, come anche in Scissione, una serie di culto i cui echi lontani rimbalzano nella materia oscura della creazione di Crouch, la scelta del protagonista nasconde una pretesa di controllo sulla propria vita che si dimostrerà pesantemente illusoria. In Dark Matter, infatti, le scissioni che generano vite alternative sono molte, partendo dall'assunto che ogni decisione presa ha delle conseguenze anche nel multiverso; ma noi non lo sappiamo, non possiamo saperlo.
Eppure, un modo per attraversare le porte nascoste che conducono a questi infiniti non luoghi e non spazi c'è, e implica la presenza materiale di una sorta di enorme scatola (ricordiamoci di Schrödinger e del gatto!) che sfida e irride la comprensione umana, pur (o proprio per questo) essendo stata creata e costruita da esseri umani. Siamo fallibili più di quanto pensiamo, e propensi a non accontentarci di quel che abbiamo, ci ammonisce la serie ("Se questo mondo vi sembra spietato, dovreste vedere cosa sono gli altri", diceva Philip K. Dick). Ma all'approccio psichedelico-millenarista dell'autore di Un oscuro scrutare, Dark Matter preferisce una tensione schiettamente buonista, che va di pari passo con l'accumulazione delle virtù del protagonista, sempre uomo migliore in ogni campo rispetto all'antagonista, che si svela progressivamente come un coacervo di malvagità e viltà. Una polarizzazione necessaria a tenere sempre alta la suspense, in un gioco al rialzo che però conduce verso un finale piuttosto frettoloso che lascia qualche questione per aria e chiude un po' troppo sbrigativamente le linee narrative che riguardano i personaggi secondari.
Inoltre, la stratificazione di paradossi è talvolta eccessiva per una narrazione mainstream di questo genere, ma il ritmo tiene sempre e questo è sufficiente perché lo spettatore conceda volentieri qualche deroga alla sospensione dell'incredulità. "Ho creato questa serie per chi ama la fantascienza e per chi la odia", ha dichiarato Crouch, e questa furba intenzione cerchiobottista lascia la sua impronta sulla narrazione, minandone parzialmente equilibrio e fascino.
C'è in Dark Matter più di qualche parentela con in caos generato dai multiversi ipertrofici e debordanti a cui ci ha abituato il fumetto di supereroi (in particolare quello proverbialmente incontrollabile della DC Comics), che però siamo disposti ad accettare se in cambio riceviamo una buona razione di intrattenimento e una dose minima di rispetto, quella che ogni spettatore si meriterebbe anche quando il racconto sbanda verso il manicheo, come in alcuni casi succede a Dark Matter. Intrattenimento e rispetto che comunque, al netto delle alte ambizioni narrative e concettuali della serie, non sempre centrate, ci vengono qui entrambe elargite con onestà, insieme a qualche sincero spunto di riflessione magari non esattamente illuminante, ma nemmeno scontato.