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Dark Horse
Un bamboccione in un mondo di plastica: più fake di così l'americano secondo Todd Solondz non potrebbe essere. Tornato in concorso a Venezia due anni dopo Perdona e dimentica (Premio Osella alla sceneggiatura), l'icona degli indie USA regala alla sua gallery di loser, disadattati, cialtroni e spregevoli un altro abominevole ritratto: quello di un trentenne quasi obeso, accasato dai genitori, perso in un mondo tutto suo e incline all'isteria ogni qual volta si tenti di riportarlo alla realtà. Colpa della famiglia - la madre lo sommerge di un'amore di gomma, il padre gli presta le attenzioni di un pesce palla - e di una cultura che non perdona né dimentica l'incapacità di soddisfare le sue aspettative. Il bamboccione non a caso viene ribattezzato "ronzino" - Dark Horse - perché è il cavallo sbagliato di ogni scommessa. Un'inadeguatezza al mondo che non verrà riscattata né dall'amore (di un'altra disadattata come lui, ma catalettica), né dal lavoro (il padre lo licenzia preferendogli il cugino "normale"), né dai sogni che fa ad occhi aperti. Solo dopo un grave incidente d'auto capirà forse che è meglio la vita vera. Ma sfortunatamente per lui sarà troppo tardi.
Il più diretto e accessibile tra i film di Solondz - almeno in apparenza - è l'ennesimo quadro apocalittico della società americana, falsa, nevrotica e in fuga dall'esistenza. Dopo il pervertito, il bambinone: l'altra faccia di un'umanità che si finge spaccona per non scendere a patti con la realtà, accettandone imperfezioni e limiti. Il ronzino del film nega l'evidenza e quando non può negarla si tuffa nel sogno - stereotipato, finto anche questo - dove incontra improbabili fatine, macchine fiammanti, case di lusso e donne disponibili. Esplode di rabbia se qualcosa minaccia l'integrità e la purezza della sua vita fasulla, come i graffi di un giocattolo appena acquistato o la malattia venerea nel corpo della donna dei sogni.
Verso i suoi personaggi Solondz mostra la proverbiale mancanza di pietà, sommergendoli di ridicolo, caricaturandoli, irretendoli nei paradossi. Al solito sceglie i suoi attori alla perfezione - bravi tutti: Justin Bartha, Selma Blair, Mia Farrow e Christopher Walken - costruisce un ambiente-acquario allucinante, lo congela tra ovatta emozionale e iterazione. Ma con un sospetto di programmaticità e di maniera sconosciuto in passato, e una trama drammaturgica talmente esile da rischiare di spezzarsi prima del finale.