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Nell’immaginario il giullare, largamente menzionato in molta tradizione letteraria e scenica, è sempre stato raffigurato come individuo privo di moralità, un cantastorie intento ad intrattenere un pubblico ignorante, interessato ad argomenti farseschi e di facile comprensione. Epiteto utilizzato per descrivere una persona dal comportamento ridicolo ed inappropriato, il cosiddetto saltimbanco venne per lungo tempo relegato alle più basse categorizzazioni interpretative.
Fino a quando, Dario Fo, uno dei più importanti drammaturghi del secolo scorso, insieme alla compagna di una vita, Franca Rame, non decisero di nobilitarne finalmente la figura, facendola diventare espressione teatrale del popolo, portavoce satirica delle accuse ai potenti e protagonista di Mistero Buffo (1969), la magistrale opera settantottina che (parzialmente) compone anche il titolo del documentario Dario Fo. L’ultimo mistero buffo di Gianluca Rame.
Presentato nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma, il film trae origine da un punto d’arrivo: l’addio alle scene di Fo avvenuto il 1°agosto 2016 a Roma, due mesi prima della sua scomparsa mentre interpreta la sua “giullarata popolare”.
Guidati da un narratore-attore solo su palcoscenico con le sembianze di una sorta di alter ego, si è subito posti di fronte a diversi piani descrittivi aventi come obbiettivo il raccontare cosa, e soprattutto come, Dario Fo e Franca Rame abbiano scardinato completamente i dogmi di una cultura elitaria, borghese tramite un teatro militante e civile, le cui sperimentazioni influenzano ancora oggi l’attivismo culturale di tutto il mondo.
Eredità colossale, un eco gigantesco e duraturo testimoniato nel docufilm dal protrarre di pari passo la cronistoria biografica della coppia teatrante, arricchita da filmati d’epoca e brevi interviste a vari intellettuali, attrici ed autori, insieme al racconto di recenti esempi di denuncia e mobilitazione sociale, escogitati a partire dall’utilizzo delle loro drammaturgie.
Quello che è il ritratto più intimo, si struttura prendendo come cardini temporali alcuni elementi significativi della simbiotica esistenza artistica dei coniugi, assolutamente inscindibile da quella personale: dalla censura bigotta per aver stimolato “pericolosi” spunti di riflessione agli italiani nell’edizione di Canzonissima del 1962, alla creazione di collettivi teatrali con la funzione di spolverare la funzione sociale del teatro, la decisione di fondare un’organizzazione per dare assistenza legale ai detenuti politici con “Soccorso Rosso” sino alla genesi delle opere più rappresentative e pregnanti, quali il già citato Mistero Buffo, Morte accidentale di un anarchico (1970) e Lo stupro (1975), monologo ardente di dolore scaturito dallo spregevole episodio di violenza vissuto da Franca Rame. Non dimenticando, ovviamente, il conferimento a Fo del premio Nobel per la Letteratura, nel 1997 e l’ultimo spettacolo capitolino.
Un accurato, seppur breve, resoconto da cui emerge con chiarezza il proposito di plasmare un'arte che fosse direttamente collegata al tessuto sociale della collettività avendo in mente l'assunto per cui “fare teatro vuol dire fare politica attiva”. Da questa frase, l’evidente la volontà di avvicinarsi alle classi dei lavoratori, portando il teatro fuori dai luoghi istituzionali, incamerando le questioni urgenti della società e avendo come obiettivo conferire onorabilità al sapere popolare. Combattere al fianco dei più deboli, farsi “giullare del popolo” e rappresentativo di un’età storica cruciale contraddistinta da atti impetuosi, ma anche da un innegabile fermento.
Costrutti argomentativi universali dall’immortale natura rivoluzionaria che a più di cinquant’anni di distanza, nel 2022, vengono messi in scena da compagnie che operano in realtà in cui vige ancora oppressione ed estremo rigore, come viene mostrato dal film. A Istanbul, la produzione in lingua curda di Clacson Trombette e Pernacchi (1981), censurata dalle autorità turche per propaganda terroristica, e a Buenos Aires, l’esecuzione di Muerte Accidental de un Ricotero, adattamento dell’omonima pièce, per protestare contro un atto di estrema sopraffazione nei confronti di un giovane nel 1991, ad esempio.
In una miscela costituita da estratti documentali ed esplicativi, dichiarazioni di affetto, commuoventi riprese d’epoca, Dario Fo. L’ultimo mistero buffo si affida alla linearità e alla potenza memoriale di un operato artistico ribelle che scaturisce da ogni singolo tassello rappresentativo di due persone uniche che seppero “dileggiare il potere restituendo dignità agli oppressi”.