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DanDaDan
Momo Ayase è una liceale bizzarra: vive con la nonna medium che ha l’aspetto di una ventenne, adora gli uomini all’antica come il suo nume tutelare (l’attore giapponese Ken Takakura), ed è convinta che i fantasmi esistano ma gli extraterrestri no. L’esatto opposto di un suo compagno di scuola piuttosto nerd, timido e riservato, bullizzato da tutti e miniera inesauribile di informazioni sugli alieni. I due fanno amicizia e si mettono alla prova: lei andrà in un ospedale dove in passato sono stati avvistati degli UFO, lui in un tunnel abbandonato teatro di apparizioni ultraterrene. Entrambi proveranno sulla loro pelle che alieni e fantasmi esistono, e dovranno fare squadra per evitare possessioni demoniache e incontri ravvicinati… di un certo tipo. L’intesa tra i due non è così casuale: il timido compagno nerd all’antica di Momo si chiama… Ken Takakura.
A distanza di oltre vent’anni, il motto di René Ferretti “A noi la qualità c’ha rotto er c…” risuona più che mai attuale. Non c’è altra spiegazione, di fronte alla scarsa risonanza di cui sta godendo, all’infuori degli appassionati di anime, un’opera d’arte come DanDaDan, cui nemmeno la visibilità su Netflix e Prime Video (via Crunchyroll) è riuscita a dare la popolarità che meriterebbe. Difficile trovare una definizione più calzante a un prodotto che, pur seguendo pedissequamente l’ottimo manga di Yukinobu Tatsu (la prima stagione mette in scena i primi quattro tankobon), lo sublima grazie all’apporto di un’animazione fantasmagorica. La qualità può aver rotto, ma paga: e se il budget ha penalizzato fatalmente una miniserie di recente fattura come Junji Ito Maniac, qua i mezzi evidentemente non sono mancati, come pure la cura.
DanDaDan è un titolo perfetto, onomatopeico, per riassumere l’idea di frastuono, confusione, accumulazione visiva e narrativa che si infrange sullo spettatore. Un frastuono anarchico che accompagna Momo e Ken attraverso i generi, dall’horror alla fantascienza, passando per il demenziale e il romanzo di formazione sentimentale tanto caro ai lettori degli shonen manga.
A lasciare stupefatti è il continuo passaggio da un registro all’altro, dalla dimensione lirica (il poetico e commovente settimo episodio, che ricostruisce a posteriori le origini dello “spirito dai capelli setosi”) a una trivialità invero travolgente (le disavventure a sfondo sessuale di Momo con gli alieni Serpoiani; il povero Ken, posseduto dallo spirito della Turbo Nonna, costretto per l’intera serie a cercare i suoi testicoli andati perduti). Autentico crossover a prova di etichetta, Dan da dan fagocita ogni espediente narrativo senza fermarsi né censurarsi mai, grazie a una scrittura libera e moderna che ridefinisce l’idea di animazione nel terzo millennio, senza indulgere in derive citazionistiche.
La modernità di Dan da dan è, a pensarci bene, la stessa delle nuove produzioni musicali in grado di combinare jazz, hip-hop ed elettronica: ne è un indizio l’incalzante colonna sonora di Kensuke Ushio, ne è una prova l’irresistibile title-track Otonoke dei Creepy Nuts, che parte martellante e fracassona per poi librarsi eterea e melodica, racchiudendo efficacemente le due anime della serie, quella underground di superficie e quella pop di fondo.
La volontà di restare fedeli al manga deve aver portato gli autori alla decisione di non ricorrere a cliffhanger o a finali di serie autoconclusivi: il racconto si interrompe di colpo, e riprenderà a luglio 2025 con una seconda stagione già confermata. Sempre che, nel frattempo, i Serpoiani non riescano a capire come riprodursi, e a conquistare la Terra…