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Balcani, anni Novanta, la guerra infuria: Kurjak (Stuart Martin) e i suoi soldati provano a mantenere le posizioni nel villaggio di Yorvolak, ma vengono falcidiati da assassini non umani più che disumani.
All’uopo viene cooptato Harlan Draka (Wade Briggs), confesso truffatore che gira per i villaggi con il procuratore Yuri praticando falsi esorcismi, ovvero fingendosi un Dampyr, un cacciatore di vampiri.
In realtà, Harlan scoprirà di esserlo per davvero, in quanto figlio di un'umana, Velma, e di un Maestro della Notte, Draka. Ma prima della genealogia, urge la sopravvivenza: affiancato da Kurjak e la vampira ribelle Tesla (Frida Gustavsson), Harlan si scontrerà con un altro Maestro della Notte, Gorka, utilizzando quale arma il proprio sangue, venefico per i vampiri.
Tratto dall'omonimo fumetto di Sergio Bonelli Editore, ovvero la serie horror partorita nel 2000 da Mauro Boselli, che sceneggia con Giovanni Masi, Alberto Ostini, Mauro Uzze, e Maurizio Colombo, Dampyr è prodotto da Eagle Pictures, che distribuisce, Bonelli Entertainment e Brandon Box e diretto dall’esordiente Riccardo Chemello.
Budget di 15 milioni di euro, location a Bucarest e in Transilvania, 15 settimane di lavorazione e 200 impiegati tra attori e comparse, inaugura – tralasciando il Dylan Dog di Kevin Munroe del 2011 – il Bonelli Universe, con un esibito gigantismo produttivo, complice l’entrata in gioco di Eagle: vuoi per la foggia, vuoi appunto per le dimensioni, echeggia tanti temi sollevati dal “gemello diverso” Freaks Out, dunque un film grande è un grande film?
Possiamo lodare le intenzioni e le ambizioni, dalle ricostruzioni in Romania – bello il paesotto di Yorvolak disposto a croce - alla lingua inglese, e possiamo sicuramente apprezzare e lodare gli effetti visivi, i vfx supervisor sono Alessio Bertotti e Filippo Robino, davvero la cosa migliore del film, ancor più considerando l’annosa incapacità patria a misurarsi a livello internazionale sul tema: dai vampiri carbonizzati alle purpuree lamelle che coreografano i duelli, gli effetti sono effettivamente speciali.
Molto altro, purtroppo, non va: gli attori esibiscono un’evidente medietà, non che ci sia bisogno di Daniel Day-Lewis per simili operazioni, ma insomma ci siamo capiti; la regia, Chemello viene dal parkour, è efficacemente tachicardica negli scontri e brachicardica, per non dire esanime, laddove si tratti di parlare o evocare, e si veda alla voce schizofrenia.
Poco importa, in fondo, se i fan di Dampyr da oggi accorressero massicciamente in sala, e se il moltiplicatore internazionale dovesse essere congruo, concedendo al Bonelli Universe l’abbrivio che i 15 milioni di budget – ribadiamo, un dato meramente quantitativo, non suscettibile di alcuna speculazione qualitativa – impongono.
Interessante, ovviamente, il rimando all’odierna guerra in Ucraina per prossimità geografica e linguistica, Dampyr in ultima analisi tradisce la refrattarietà italiana allo spettacolo su grande scala, all’elevazione a potenza (blockbuster) del genere, al cinecomics di dimensione e – sperabilmente - impatto globale.
Tutto già visto con Freaks Out, che Dampyr rassomiglia nell’essere mostro anziché monstre, nell’essere “eroico” piuttosto che supereroico. Dice Kurjak: “Vado in giro con un supereroe”, ribatte Harlan: “O con un mostro”. Solo non si vedono le convergenze parallele, solo non si scorge – si diceva una volta – il kolossal.