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Dadapolis
“Ma no è o’ vero che no sentettero niente. Nessuna epidemia, nessuna catastrofe è silenziosa da queste parti.” Così declama, sostenuto dalla sua chitarra elettrica, Tonino Taiuti, attore musicista, all’inizio di Dadapolis, il Caleidoscopio napoletano intessuto da Carlo Luglio e Fabio Gargano, liberamente ispirandosi all’antologia di Ramondino e Müller, edita da Einaudi, e ormai “trovabile” solo tra l’usato; e presentato a Venezia 81 nella sezione “Confronti” delle Giornate degli Autori.
Nasce dall’acqua questo viaggio nella creatività e nell’esistere di una città rivoluzionaria come Napoli; e l’acqua, quel mare, che dona serenità, respiro; che è Dio - come arriva a pronunciare un poeta musicista come James Senese in compagnia di altri poeti, scrittori, drammaturghi come Peppe Lanzetta e Igor Esposito, catturati in questo viaggio visionario e ispirato nell’arte -, è il principio da cui prende vita il motore creativo di un navigare che m’è dolce in quelle acque del Mare Nostrum Mediterraneo; il brodo primordiale in cui vanno barche, navi, in quella che viene ricordata essere la Porta del Sud del Mondo: tutto parte da qua, tutto ciò che vuole essere dimenticato dal Nord del Mondo arriva per essere mandato verso il Sud del Mondo, e “tutto questo avviene in silenzio”, come afferma Francesca Saturnino, giornalista.
Vuole recuperare quel silenzio, Dadapolis, quella dimenticanza o meglio disattenzione, in cui ad esempio un libro, quello che gli ispira il titolo, che annovera tra i suoi autori la co-sceneggiatrice di Morte di un matematico napoletano di Mario Martone, Fabrizia Ramondino, è ormai un cimelio.
“Sono gli anni della Narrazione, tutto è diventato narrazione, non c’è la Verità; c’è la verità narrata, e Napoli è la vittima, e allo stesso tempo il carnefice della verità narrata in questo momento”, come ricorda Fabio Pisano, drammaturgo.
E come poter dare Verità a questa verità narrata?
Guelfo Margherita, psicanalista, afferma “Per capire cos’è un insieme, spacchiamo un capello in quattro, fuoco acqua aria terra”.
Dopo l’arrivo in barca di Emanuele Valenti, che pronuncia, conquistando la riva, un grammelot di parole e di pensieri, in quella spugna linguistica che è il Napoletano, “una lingua non scritta che modifichiamo di giorno in giorno”, di una città mondo che vive in bilico tra passato e futuro, inizia a dipanarsi questo volo tra cielo e mare; dove la terra è luogo preposto a essere trampolino verso il Futuro, come indica simbolicamente un gigante tuffatore che copre la facciata di un fabbricato nel porto, che al contrario di quello di Paestum, che si tuffa verso il basso, tende in avanti verso di esso.
Dove l’Anima di una città sarà abbracciata dalle parole, pensieri, melodie delle sue figlie e dei suoi figli che fanno parte di questa Babele, e che nei quattro capitoli che prendono incipit anche ideale dagli elementi nominati da Margherita vede articolarsi una narrazione liquida, nel tentativo di evitare una possibile “liquidazione”.
Dove si inizierà dal Fuoco, dalla creazione che rappresenta, per riflettere sulla città e le sue trasformazioni, in tutte le sue magnifiche contraddizioni.
Dove saranno tante e tanti le artiste e gli artisti a cantare e suonare, perché come ricorda ancora James Senese con un aneddoto, un sagrestano gli disse che “Tu dici la verità di tutto quello che ci sta. La verità su ciò che vogliamo essere, su ciò che siamo, su ciò che abbiamo perso, su ciò che non vogliamo più perdere”. La verità che solo i Cantori del tempo che passa, e che resta, sanno donare.
Perché Napoli “sta perdendo qualcosa…stereotipata, all’interno di una narrazione oleografica, ed è sempre più difficile uscirne” In un “centro storico che è un elogio del carboidrato”, dove “anche il peggio è diventato business”.
“Dove sono andati i grandi intellettuali del passato come Benedetto Croce, Matilde Serao, Giambattista Vico?” - lamenta Peppe Lanzetta. “Ora si vede solo un gran mangiatorio metaforico e fisico”.
Ma arriva la Terra, e la sua concretezza, per costruire creatività tra le onde del mercato, “l’indipendenza è anche sofferenza”, nella speranza di creare “mercato fuori dal mercato”.
C’è chi ha bisogno del pubblico, e di ciò che si chiama consumismo. Ma come ci ricorda Pasolini, “almeno la poesia è inconsumabile”.
Nel capitolo dell’Acqua, e della sua capacità di riunificare, tra morte e rinascita, l’incontro con il teatro, la poesia necessaria di un Maestro come Enzo Moscato: “Tutto mi è servito, anche la sconfitta, la delusione, alla fine tutto si integra credo”, che prosegue: “Per me è stata una cosa straordinaria ricevere una vocatio, poter tenere in vita quest’arte antichissima che senza l’umano, e anche senza la debolezza dell’umano, non può andare avanti.”
In un nuovo giorno che nasce, in cui poter ringraziare il Creatore, "nostro protettore per averci permesso di poter fare anche oggi il più bello spettacolo del mondo”, come ci consegnano i Totò Poetry Culture Gianni Valentino e Lello Trama con La preghiera del clown di Antonio De Curtis.
Sono innumerevoli le voci che partecipano e fanno parte di questo coro, dove oltre i già nominati si trovano molti altri ancora, come Roberto Colella (cantautore), Nello Daniele (cantautore), Cristina Donadio (attrice), Lino Musella (attore, regista), Vale LP (cantautrice), Mario Spada (fotografo), Bianco e Valente (artisti), Jorit (street painter).
Per scoprire tutte e tutti vi invitiamo a vivere fino in fondo Dadapolis, perdendovi in quel flusso che conduce fino all’Aria, alla sua capacità di donarci Mobilità, così da rivolgere Uno sguardo al Futuro.
Perché, come ci ricorda il narratore, demiurgo Guelfo Margherita, una città come Napoli “è piena di un passato che è insieme un futuro, piena di un futuro così pieno di passato, forse piena di un non passato o di un non futuro che sono intravedibili solo attraverso la creatività degli esseri umani individuali o degli esseri umani che mettendosi insieme creano la particolarità di una cultura”.
Un viaggio quello di Dadapolis che ci è stato donato grazie al contributo produttivo di Gaetano Di Vaio, Giovanna Crispino, Pietro Pizzimento, in collaborazione con La Scuola di Cinema, Fotografia, Audiovisivo dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Un documentario dedicato, oltre che a Napoli nella sua interezza e molteplicità, prima di tutto a tre straordinari artisti napoletani, che sono venuti a mancare durante la sua realizzazione
Gaetano Di Vaio (Produttore cinematografico)
Enzo Moscato (Drammaturgo)
Cristian Vollaro (Posteggiatore)