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Michael B. Jordan in Creed III - Foto Eli Ade © 2023 Metro-Goldwyn-Mayer Pictures Inc. All Rights Reserved
Rocky (Sylvester Stallone) non c’è più e la saga di Creed tenta inevitabilmente di intraprendere un nuovo corso.
Dopo i primi due capitoli, diretti da Ryan Coogler e Steven Caple Jr., il testimone passa stavolta allo stesso protagonista del franchise, Michael B. Jordan, che esordisce alla regia e – lo diciamo subito – firma il capitolo meno riuscito dei tre.
Adonis ha smesso i guantoni, ma il mondo della boxe è ancora la sua casa: nella sua palestra si allena il nuovo campione dei massimi, il messicano Chavez, ansioso di poter difendere il titolo contro Drago (Florian Munteanu) nel prossimo incontro. Dal passato di Adonis ricompare però il vecchio “fratello” Damian (Jonathan Majors), che 18 anni prima era finito in carcere per difenderlo in una rissa. A suo tempo stella emergente del ring, mai divenuto professionista, Damian vuole a tutti i costi riprendersi quello che crede spettargli di diritto, ovvero combattere per diventare il nuovo campione.
Spogliato quasi del tutto di quella componente nostalgica che aveva accompagnato i primi due capitoli (non può bastare da questo punto di vista la presenza di Phylicia Rashād, ancora nei panni dell’anziana e malata madre di Adonis, con il figlio di Ivan Drago relegato a nulla più che sparring partner...), Creed III perde terreno anche sul versante dell’epica, preferendo una cifra da corpo-a-corpo continuo anche al di fuori del ring: è l’apoteosi di primi piani e musiche tonitruanti per sottolineare qualsiasi momento del racconto, l’esaltazione di un kitsch che non resta confinato nelle pareti della lussuosa villa con vista L.A. del protagonista ma che finisce per contagiare l’intero film, che probabilmente nelle intenzioni iniziali sarebbe dovuto durare molto più delle definitive quasi 2 ore di adesso, ma che sembra vittima di tagli e raccordi “dell’ultimo momento” che finiscono per comprimere il tutto dentro una cornice dalla quale è impossibile fuggire neanche per qualche secondo.
Per carità, “non puoi fuggire dal tuo passato”, ci mancherebbe, e la presenza di Jonathan Majors – figura veramente bestiale nel senso più nobile del termine – riesce quantomeno a farci evadere dalle inverosimili scelte di un film che ci vorrebbe convincere che un pugile come Chavez –interpretato da José Benavidez Jr., boxeur losangelino, 69 kg, peso welter – possa essere credibile non solo come peso massimo, ma addirittura campione del mondo in carica. Con il risultato che nel momento in cui sul ring si confronta con Damian ci si stupisce, da spettatori, dello stupore dei presenti, nella scena, che assistono ad un massacro anche meno penoso di quello che la realtà avrebbe previsto.
Ma in fondo quello che conta è trovare la redenzione per essere scappati via quando il tuo migliore amico avrebbe avuto più bisogno di te: e allora bisogna rimettersi in forma, prendere a pugni le cortecce degli alberi, trascinare aerei, farsi una corsa non più sulla scalinata del Philadelphia Museum of Art, la scalinata di Rocky, ma arrivare sulla collina che ospita la scritta HOLLYWOOD… (sic!), e poi sul ring che si trasforma in una gabbia, con la gente che intorno scompare.
Tutto veramente troppo per essere vero, e noi che in Rocky Balboa piangevamo come vitelli ci domandiamo se quel tiepido entusiasmo con cui accogliemmo l’arrivo di Creed fosse a questo punto ben riposto. Certo è che prevedere altri capitoli come questo sarebbe a dir poco folle.