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Dei camici bianchi appesi, urne di diverse dimensioni e un tavolo operatorio di lucido acciaio dove due uomini elegantemente vestiti pongono una salma avvolta da candide lenzuola, in attesa di una donna che di spalle entra in scena.
Questa è la sequenza con cui si apre Corpo e Aria (Holy Care), il cortometraggio di Cristian Patanè, al suo quarto lavoro come regista dopo Amore Panico (2017).
La giovane, ancora senza volto, indossa il camice, si lega i capelli, mette le cuffie alle orecchie e con i guanti neri spoglia completamente il corpo senza vita. Come una serie predefinita di azioni, si susseguono le immagini dei diversi corpi ai quali la protagonista sta sottoponendo vari “trattamenti”: passare dell’acqua con una spugna sulla pelle, infilare dei pantaloni o fare la tinta ai capelli.
Tutte pratiche più che normali ma che in questo caso appartengono a un rito particolare. La protagonista, infatti, è un’operatrice tanoestetica, ovvero colei che si occupa della pulizia e delle cure estetiche dei defunti.
La donna svolge le sue mansioni e la telecamera, dapprima osservatrice esterna, diviene indagatoria ed ogni imperfezione e particolarità viene scrutata, esposta, contribuendo a sottolineare come lei abbia un palese atteggiamento di distacco dai cadaveri.
Un’assenza affettiva evidenziata anche dalla musica elettronica che ascolta in cuffia durante il lavoro, unica voce nella sua routine e gestualità, il cui ritmo cadenzato le permette di estraniarsi dalla sua mansione macabra.
La ripetitività del lavoro prosegue fino al raggiungimento di un particolare momento di tensione rappresentato dallo sfiorare il corpo inerme di un uomo, apparentemente a lei sconosciuto, che crea uno strano ma toccante coinvolgimento tra i due soggetti.