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Corpo celeste
Marta (Yle Vianello: come i Dardenne vorrebbero) ha 13 anni, e ne dimostra meno: dopo 10 passati in Svizzera, riscopre la natia Reggio Calabria. E' terragna la città, e variamente abbrutita: il fiume è in secca, un letto che non accoglie, salvo una processione un filo sacra, un tot profana e molto prosaica. Nondimeno, in questa architettura di barriere visibili e geometrie invariabili, in questa ragnatela di tradizione e collusione, potrà scoprirsi Corpo celeste?
Per Anna Maria Ortese “corpo celeste, o oggetto del sovramondo, era anche la Terra, una volta sollevato quel cartellino col nome di pianeta Terra”, per l'esordiente 29enne Alice Rohrwacher (sì, è la sorella di Alba) corporea è la dardenniana marcatura su Marta, celeste il voltaggio delle immagini, sprofondate in basso – la diseducazione catechetica (si canta: “Mi sintonizzo con Dio, è la frequenza giusta”), la parrocchia aziendale e politicamente sensibile (Don Mario è Salvatore Cantalupo), il Crocefisso figurativo - e comunque risollevate da una figura Christi sui generis: Marta, che evangelicamente diremmo piuttosto Maria.
Spronata dal produttore Carlo Cresto-Dina (Tickets) e felicemente approdata alla Quinzaine di Cannes 64, la regista ha circoscritto in questa paradossale corporeità celestiale, in questa trascendenza coi piedi per terra tante delle questioni che sfregiano il nostro qui e ora: se il percorso è parabolico, Marta è un satellite comunque indipendente, in moto di rivoluzione rispetto alla massa pesante e asservita di Reggio, e dell'Italia che non cresce. Mentre il catechismo si fa quiz, ma il Crocefisso dev'essere secondo tradizione, Marta è una piccola donna che cresce: il film è lei, e come lei in divenire, fiducioso, e non corruttibile. Con grazia femminile e adolescenziale empatia, la Rohrwacher rispolvera ad hoc la prima persona neorealistica e le affida il compito etico, prima che conoscitivo, di guardare al mondo, e resistervi: in realtà, è questa la Cresima, la Confermazione per cui entrambe si sono preparate.