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Una scena di
Corazones de mujer
I "chilometri zero" evocati dai due protagonisti di Corazones de mujer stanno per la riconquista di una verginità perduta. Sessuale, perché Zina, prossima alle nozze e non più immacolata, deve intervenire chirurgicamente se non vuole che il suo matrimonio venga annullato. E spirituale. Perché la fine del viaggio - da Torino a Casablanca in Alfa Romeo - che la ragazza intraprende con la guida Shakira, un sarto travestito, la riporterà a uno stato primigenio, fuori dalle logiche e i dettami culturali. Il senso di questo road movie che gli italiani Sordella e Benedetti (nascosti dietro lo pseudonimo di K. Kosoof, in arabo "eclisse") hanno presentato all'ultima berlinale, è il recupero di uno sguardo purificato sulla realtà e su noi stessi. "La libertà di dire ciò che si pensa, e di fare ciò che si dice". Il film affronta con delicatezza temi come l'identità sessuale, l'intolleranza e la condizione delle donne arabe ("Combattono questa guerra sul corpo delle donne", dice una marocchina a proposito dei suoi correligionari), adottando stilemi da free-cinema, tra reportage e onirismo, e afflato poetico più che antropologico. Con qualche eccesso, ma anche con una vitalità e un coraggio inusuali nel nostro cinema.