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Elio Germano in Confidenza
Se il libro di Starnone iniziava con la parola amore, l’analogo film di Luchetti incomincia con un “Vai!”.
È l’incoraggiamento che Teresa rivolge al suo vecchio professore di italiano ed ex amante Pietro, mentre costui è indeciso se buttarsi o meno dalla finestra. Un momento di sconforto, solo immaginato.
Pietro, ormai in là con gli anni, vagheggia il suicidio di frequente. Ma è un finale quello che cerca, una disperata via di fuga? Oppure è anche questa una tentazione narcisistica, un indulgere nell’autocommiserazione che, se non cancella la condanna, almeno ne procrastina l’esecuzione?
Pietro, interpretato magistralmente da Elio Germano, somiglia all’Aldo di Lacci (il precedente film di Luchetti tratto sempre da un romanzo di Starnone): è un mediocre innamorato di sé stesso. Ossessionato da come la sua immagine può apparire all’esterno, dal giudizio, teme più di ogni altra cosa che il mondo possa conoscere il suo segreto vedendolo per quello che è. Il rischio è concreto, la Confidenza pericolosa. Pietro, ai tempi in cui era un carismatico professore di liceo, ne aveva fatta una a Teresa, una sua ex allieva con cui aveva intrapreso una relazione. La donna lo aveva invitato a scambiarsi un “segreto così orribile che se si sapesse ti distruggerebbe per sempre”. Poi la storia finiva, l’amore evaporava, il vincolo rimaneva nella forma dell’indicibile. Sempre in mezzo a loro.
Lo scheletro nell’armadio segue Pietro anche quando si è fatto un nome e soldi grazie alla pubblicazione di un libro sui problemi della scuola che gli garantisce appoggi politici e fortune editoriali. Da figlio della classe operaia a maître à penser della borghesia radical chic , con casa in centro e terrazzo abitabile. Uno status consolidato da una nuova e più appropriata unione familiare con Nadia, moglie e madre dei suoi tre figli. Pietro si è giocato le sue carte con la complicità della fortuna, ma la casa che ha costruito non è sulla roccia ma appesa allo scoglio di una verità nascosta.
Tutto il film si regge su questa compresenza del retroscena, facendo della dissimulazione il vantaggio conoscitivo in mano allo spettatore. Un sapere che devitalizza la tensione drammatica del racconto – la parabola narrativa del personaggio, il valzer degli amori e dei tradimenti – per orientarci verso l’indagine psicosociale, la riprovazione fenomenologica di un modesto di successo, l’uomo senz’altra qualità che l’imbonimento intellettuale, l’ennesimo figlio adottivo di una borghesia culturale in putrefazione. Non c’è nemmeno l’empatia della vita interiore, quella che letterariamente Starnone è costretto a concedere a Pietro, ma l’esteriorità piattamente elegante del visivo che fa pendant con il carattere ributtante del personaggio. Dei personaggi. Perché se Germano è un antipatico di talento, la Teresa di Federica Rossellini è semplicemente urticante. Probabilmente il suo personaggio è troppo appiattito su una cupa ossessività, bilanciata solo in parte dalla complessità di Nadia/Vittoria Puccini. Il film è stato snobbato dai principali festival, pur non essendo così inferiore a Lacci. Il suo limite probabilmente è che non fa nulla per piacere. La mediocrità, d’altronde, questa è.