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Computer Chess
Prima della data fatidica: 1984. Un campionato di scacchi in cui si sfidano i software più innovativi del settore. Un albergo che sembra l'Overlook Hotel, in cui si radunano programmatori di ogni specie: impassibili informatici con occhialoni a fondo di bottiglia, scrocconi che caldeggiano l'IBM femminile e raffinato (i geeks precursori dell'Apple?), cervelloni affiliati al Pentagono e alla Cia, spacciatori e consumatori di roba pesante affetti da paranoia alfanumerica. C'è anche un gruppo di incontro per coppie che cercano inenarrabili fusioni, "da due a uno, da tre a due...". Gatti, gatti ovunque. E una misteriosa donna sull'uscio dell'albergo, forse una prostituta.
Sono alcune delle linee narrative rintracciabili nel più allucinato, anarchico e sfrontato dei film visti finora a Torino, Computer Chess di Andrew Bujalski, poco noto da noi ma già con un bell'appellativo dall'altra parte dell'Oceano. Lui è "il padrino del Mumblecore", un sottogenere del film indipendente americano, caratterizzato da budget irrisori, attori amatoriali e dialoghi veraci.
In effetti, si fatica all'inizio a credere che Computer Chess non sia un autentico reperto d'archivio, vere riprese effettuate durante una convention dedicata ai software degli scacchi. Girato con una videocamera Sony d'annata (la AVC 3260), in formato 4/3, nel tipico bianco e nero mostruosamente liscio di questi apparecchi arcaici, il film esibisce il proprio statuto artigianale non per incrementare l'impressione di realtà, ma per esasperare il conflitto con l'assurda catena di eventi che di lì a poco si verificheranno. Sfruttando questa contraddizione interna Bujalski costruisce un meccanismo compassato ma travolgente, che intreccia videologia, sperimentalismo e nonsense.
Follia lucida si direbbe, perché il grottesco e il delirante nascono sempre all'interno di una mentalità scientifica categorica e ottusa (il riferimento continuo a Tesla, ovvero allo scienziato che impazzì inseguendo le proprie teorie è eloquente), così come le peggiori depravazioni sorgono in seno ai più fanatici seguaci di strambe religioni.
Il formato 4/3, lungi dall'essere solo un espediente filologico, accresce in realtà il senso di chiusura, di monotona oppressione. Mentre l'aver datato ai primi anni '80 - l'era di Reagan e della tv via cavo - la nascita della (paranoia della) macchina cosciente e la loro ibridazione con l'uomo, ci lascia con un sentimento di indefinita e insieme concreta, dilaniante, inquietudine.