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Vincent Lindon in Comme un fils
Svuota gli armadietti di buon mattino, Jacques. In quella sala professori deserta, di buon mattino, riempie uno scatolone con gli oggetti che fino a quel momento rappresentavano la sua quotidianità. Sta andando in pensione, il professore? È stato licenziato? Non lo sappiamo, lo capiremo più avanti. Come più avanti capiremo perché la sua casa è in vendita (“è troppo grande ormai per me”, dirà in videochiamata alla figlia ormai lontana, in Canada, insegnante anche lei).
La vita di quest’uomo viene però stravolta nuovamente, in modo del tutto fortuito: una sera nel minimarket della zona blocca uno dei tre ragazzini che stanno tentando un furto. Non lo denuncia, ma dopo aver passato la notte in cella, quel minorenne senza fissa dimora torna libero. E penserà bene di intrufolarsi dentro la casa del professore.
Malnutrito, con evidenti segni di percosse sul corpo, Victor, questo il suo nome, è un 14enne rom costretto ogni giorno a ritornare dal proprio zio con i soldi rubati in giro. Altrimenti sono botte. E Jacques decide di non girarsi dall’altra parte.
Ecco, Comme un fils di Nicolas Boukhrief – regista che torna alla Festa di Roma (Progressive Cinema) quattro anni dopo Trois jours et une vie – è un film che non sarebbe dispiaciuto ai fratelli Dardenne, dramma sociale che si concentra sull’incontro tra due figure colte in un momento chiave della propria esistenza: da una parte un uomo sospeso, già messo a dura prova dalla vita, ora in crisi “vocazionale” dopo un episodio di violenza che ha coinvolto due studenti a scuola; dall’altra un giovanissimo costretto a sottostare alle leggi della propria comunità e, per questo, ai margini della nostra società. Aiutando quel ragazzo, Jacques aiuterà anche se stesso.
Interpretato da un Vincent Lindon come sempre convincente, il professore è sì mosso da una umanissima pietas che poco a poco tramuta in una sorta di empatia atta a risvegliare quel fuoco che ne animava la missione da insegnante: Victor – il giovane Stefan Virgil Stoica – diventa allora sì come un figlio, non semplicemente in termini affettivi, ma metaforicamente quale figura indifesa (si pensi al fallimento dei servizi pubblici, in tal senso) che ha bisogno di cure e verso la quale tramandare il sapere: “Se riesci a leggere fai parte del mondo, se non sai leggere resti da una parte”.
Inverosimile nella sua semplicità d’esecuzione? Forse sì, ma proprio per questo Comme un fils – che dalla sua non ha mai un momento “fuori posto”, una concessione al ricatto emotivo, né il compiacimento di situazioni “al limite” – è un film che ci dovrebbe far riflettere: laddove l’istituzione non può molto, laddove il disinteresse verso il prossimo impera, è ancora bello pensare che ci si possa prendere cura l’uno dell’altro.
E lo è altrettanto quel cinema che senza particolari fronzoli ricorda che esistono persone – come quelle dell’associazione di volontariato capeggiate dal personaggio interpretato da Karole Rocher – disposte a condividere il proprio tempo, il proprio sapere, per farlo.