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Comedians, la pièce del drammaturgo britannico Trevor Griffiths, è una profonda affezione per Gabriele Salvatores. Il regista premio Oscar per Mediterraneo la mise in scena all’Elfo di Milano nel 1985, con Claudio Bisio e Silvio Orlando nel cast, e due anni dopo ne trasse ispirazione il lungometraggio Kamikazen. Ma non bastava, trentacinque anni più tardi ci è voluto tornare, ottenendo da Griffiths un entusiastico imprimatur per un esplicito adattamento cinematografico: Comedians annovera sei comici (Ale e Franz, Marco Bonadei, Walter Leonardi, Giulio Pranno e Vincenzo Zampa) chiamati a finalizzare sul palco un corso serale di stand-up e dibattuti, se non lacerati, tra la lezione morale del maestro (Natalino Balasso) e la vocazione commerciale dell’esaminatore (Christina De Sica).
La rilettura 2021 è più amara, intorcinata delle trattazioni precedenti: tradimento e successo, orrore e risata, la tensione sale e scoperchi i sepolcri imbiancati e i prostituti della comicità, di cui Salvatores e Griffiths confezionano un pamphlet morale, un vademecum etico, un compendio d’autore.
In primo piano è “il dark side della commedia teatrale, la parte più ponderosa, riflessiva e malinconica”, affidata a un decor serale, un’uggia esistenziale, un mood piovoso: si prenda l’arte e la si metta da parte, ma l’umano, che ne è dell’umano?
La comicità è una cosa seria, come voleva già Pirandello, e Salvatores vi si applica seriamente, a tratti seriosamente e farraginosamente, non abbassando mai la guardia stilistica – il film è elegante – ma guardando in faccia, ovvero allo specchio, i problemi della professione, per esempio la dicotomia tra bravura e successo, a discapito, se vogliamo, del qui e ora sociale.