PHOTO
Isabella Ragonese in Come pecore in mezzo ai lupi - Foto Andrea Pirrello
Si attendeva con non poca curiosità l'esordio dietro la macchina da presa di Lyda Patitucci, già regista della seconda unità nei film di Matteo Rovere, da Veloce come il vento a Il primo re, passando per gli ultimi due capitoli della trilogia di Smetto quando voglio diretta da Sydney Sibilia, franchise sempre targato Groenlandia.
Factory che continua a valorizzare prodotti che tentano di smarcarsi dalle consuete logiche del cinema "tipicamente" italiano, a volte riuscendo altre volte un po' meno, o come nel caso di questo Come pecore in mezzo ai lupi rimanendo a metà strada tra le indiscutibili atmosfere che il film riesce ad evocare e quella sensazione di irrisolto che non smette di accompagnarti per tutta la visione del film.
Crime e noir convivono in questa opera prima poggiata sullo script di Filippo Gravino - autore sodale di Cupellini e Giovannesi, abile a spaziare tra grande (Veloce come il vento) e piccolo schermo (Gomorra) - e sull'interpretazione inedita di Isabella Ragonese, poliziotta costretta ad una perenne sospensione: l'attrice è Vera, agente sotto copertura dal carattere duro e dal passato familiare doloroso. Passato che inaspettatamente ritorna quando il fratello minore, Bruno (Andrea Arcangeli), appena uscito di prigione, si allea con la banda di rapinatori serbi nella quale lei è infiltrata da tempo.
Apparenza e inganno: la "dualità è la chiave stessa del film, sempre in bilico tra azione e relazioni", spiega la regista, che per fortuna non si preoccupa di appesantire la narrazione spiegandoci il pregresso dei suoi personaggi: non sappiamo cosa sia successo tra Vera e Bruno (disposto a tutto pur di offrire una migliore esistenza alla figlioletta Marta), men che meno che cosa abbia causato l'allontanamento tra lei e il padre (Tommaso Ragno), da quello che capiamo altoborghese che esercita il proprio potere anche attraverso la platealità di una fervenza religiosa che, in qualche modo, lo accomuna al leader della banda di malviventi.
Simboli e situazioni - si pensi anche al cane che "abita" l'appartamento adiacente a quello della protagonista... - che non aiutano particolarmente il film, più che sufficiente quando si tratta di restituire atmosfere e tensioni, meno credibile quando chiede allo spettatore un'adesione empatica allo sviluppo della vicenda. Che si risolve nel modo più ovvio possibile, con quell’ammiccamento del prefinale – altra gratuità inspiegabile – che vale più di mille parole…