PHOTO
Come fratelli - Abang e Adik
Per sfidare il sistema, sostenersi a vicenda, e ragionare sul contemporaneo, la fratellanza è tra gli espedienti narrativi più cari al cinema. Non a caso “come fratelli” è un sottotitolo ricorrente, in film provenienti da luoghi diversi. L’ultimo esempio era stato Spike Lee, con il suo Da 5 Bloods, che da noi aggiungeva appunto il “come fratelli” al titolo originale.
Adesso Come fratelli – Abang e Adik è l’esordio dietro la macchina da presa di Jin Ong. Lo sguardo è orientale, il territorio di appartenenza è la Malesia.
È un cinema che ama i generi, che si concentra sugli abbracci spezzati, sui fantasmi, sullo scorrere del tempo. Il punto di partenza è il crime, ma poi si inseriscono venature romantiche che sfociano nell’incubo. L’attenzione è sempre al sociale, alla povertà, alle situazioni più difficili. Colpiscono le riprese ambientate a Purdu Pasar, uno dei quartieri più degradati di Kuala Lumpur, la capitale della Malesia. L’antico mercato si trasforma in un luogo carico di mistero, in cui i colori sembrano richiamare le tonalità dei sentimenti. È un gioco legato alla luce e all’ombra, alla dualità che alberga in ognuno di noi. Ad alternarsi sono violenza e amore, in una lotta di classe selvaggia.
Il sistema che viene descritto è piramidale, gerarchizzato. E non è un caso. Anche nei progetti più mainstream è un tema spesso ricorrente. L’opera prima dell’indiano Dev Patel, Monkey Man, è un action selvaggio, uscito in sala qualche settimana fa, che sorge dalla strada per portare la ribellione nei corridoi del potere. Allo stesso modo Come fratelli – Abang e Adik si focalizza su chi ha meno, sulla disperazione di chi fatica a trovare un’identità.
Abang e Adik sono orfani, senza documenti. Sono fratelli? Forse. Si sente l’eco di Tori et Lokita dei Dardenne, in cui i due protagonisti si trasformavano in una famiglia acquisita, nata per sostenersi l’un l’altro. Abang e Adik, almeno nella prima metà del film, potrebbero avere lo spirito di Tori e Lokita. Poi la direzione cambia. La brutalità li unisce, la disperazione distrugge le passioni. Come fratelli – Abang e Adik è anche una riflessione sul linguaggio. Adik è muto fin dalla nascita. Con Abang comunica attraverso piccoli gesti, sguardi profondi. Il silenzio diventa centrale, in una società sempre ad alto volume.
Jin Ong, che arriva dal mondo della musica, attacca la politica malese, ne sottolinea le contraddizioni, racconta la difficoltà nell’avere un visto per rimanere nel Paese dopo che si è entrati. Come fratelli – Abang e Adik è la cronaca di una realtà che avrebbe bisogno di una rifondazione. L’indifferenza di chi governa porta chi ha meno a un’insicurezza che veicola la brutalità. È quello che ci mostra Ong, in un’epopea dalle molte sfumature, che sfocia anche nell’on the road. La sua è una regia vigorosa, particolarmente dinamica, che affronta il presente con spirito combattivo. Abang e Adik diventano il simbolo di un universo al collasso, dove non sembra esserci spazio per la speranza. Il film ha vinto l’ultima edizione del Far East di Udine.