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Coco
La musica, allo spegnersi delle luci in sala, accende la nostra voglia di sognare, di andare oltre il grande schermo per guardare le stelle con gli occhi di un bambino. I cartoni animati targati Disney rappresentano un’unione perfetta tra canzoni e racconto di formazione. Già con Topolino, ancora in bianco e nero e con le brachette corte, le rocambolesche scene di azione erano accompagnate da una colonna sonora scoppiettante, sincronizzata, e sempre attenta a non perdere la sua ironia. Questa tecnica la chiamavano, non a caso, Mickey Mousing. Il fischiettio del topo dalle orecchie grandi non è mai tramontato, come il Can you feel the Love tonight di Elton John ne Il Re Leone e You’ll be in my Heart cantata in italiano da Phil Collins in Tarzan.
In Coco, un ragazzino con la chitarra insegue la sua passione, nel silenzio di una famiglia maledetta dal tempo. La bisnonna proibisce melodie e arpeggi, e il piccolo Miguel deve rassegnarsi a una gioventù perduta. Il suo futuro sono le calzature, le suole da lustrare fino a quando non scintillano: il colorato Messico non offre opportunità, e Miguel deve scendere agli inferi per riscoprire se stesso. Il suo Viaggio al centro della Terra è appena iniziato, mentre i cumuli di ossa prendono vita durante il mitico Dia de los Muertos (31 ottobre). La tradizione americana lo chiama Halloween, la festa che il Jack Skeletron di Nightmare Before Christmas protegge da secoli. Ma anche lui, alla fine, si è innamorato dei fiocchi di neve e dei regali sotto l’albero.
La Disney ci invita a trasformarci in pionieri del nostro tempo, a superare i confini conosciuti per non naufragare nell’ansia quotidiana. L’uomo nasce esploratore e i piccoli eroi creati dal gigante di Burbank hanno sempre affrontato imprese straordinarie per scoprirsi adulti. Crescere è forse la sfida più difficile, in un mondo che rifiuta il diverso e che, invece di includere, diventa sempre più selettivo.
Miguel si immerge nella Terra dell’Aldilà, un’enorme metropoli verticale che non sembra essere lontana dal panorama che ci accoglie ogni giorno guardando dalla finestra. I tram corrono veloci sui binari, gli uffici si alternano alle case, e ci sono anche le dogane. L’idea non è originale. Nel 2014, la 20th Century Fox aveva raccontato una storia simile ne Il libro della vita, con Jorge R. Gutierrez dietro la macchina da presa. Il regista è un amico di Lee Unkrich e ha dichiarato di avere grandi aspettative per questa nuova avventura Disney.
In Coco la colorata terra dei morti torna a vivere attraverso gli occhi di un dodicenne innocente e coraggioso. Ma non è un moderno Orfeo alla ricerca della sua Euridice. E allora quali misteri lo attendono? La ricerca delle proprie origini, il diritto di abbracciare con spensieratezza la sua età e di continuare a far vibrare le corde della chitarra.
Il Messico è una realtà poco conosciuta dai personaggi computerizzati della Pixar, ma qui l’iconografia latinoamericana colpisce per le sue tinte sfavillanti. Però è la musica la vera protagonista di questo anomalo lungometraggio d’animazione, che abbandona l’esotismo di Oceania e si spinge oltre il muro che il presidente Trump vorrebbe costruire.
I cartoni, che una volta offrivano avventure solo a chi non aveva ancora compiuto dieci anni, oggi si rivolgono anche agli adulti. Ci invitano a superare le barriere, sia mentali che fisiche, costruite dai nostri politici e da un’incontenibile tendenza all’omologazione. Distinguersi, specialmente in positivo, è un’impresa ardua, ma dobbiamo almeno provarci, anche solo cogliendo i significati nascosti di un’apparente fiaba da raccontare sotto l’albero.
Coco è un cartone animato visionario, una vera gioia per gli occhi. Le tinte sfavillanti dell’Aldilà si fondono con la cultura latinoamericana, in un tripudio di emozioni. Si ride, si piange, ci si dispera, per poi ritrovare la gioia di essere ragazzi. Unica pecca? Non è alla portata dei bambini. È un inno alla memoria, ai ricordi e alla necessità di non essere dimenticati. Anche dopo la morte, si continua a vivere nel cuore dei propri cari. “I morti hanno più potere su di noi di quanto ci piaccia ammettere, o addirittura di quanto immaginiamo, e il loro potere può essere bello forte”, scriveva Cormac McCarthy in Non è un paese per vecchi.
L’ultraterreno diventa realtà, una macabra dimensione parallela ci spinge a riflettere sul significato della famiglia: un porto non sempre sicuro nella tempesta, che richiama alle radici. Aprire la mente degli altri, eliminare i pregiudizi, questa è la missione. Gli scheletri col sombrero forse trasformeranno l’audacia di Miguel in responsabilità. E di sicuro ci regaleranno un po’ di tepore durante le feste natalizie.