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Almeno nel primo, involontariamente, si rideva, questo secondo film è così fatuo, vacuo, mortificante e castrante insieme – e non tirate fuori eros e thanatos, per favore – che le cose da fare sono due.
La prima, chiedersi se il nero sia davvero il colore di queste Cinquanta sfumature.
La seconda, mandare tutto in vacca, ovvero prendere per i fondelli questo sequel, diretto da James Foley, che riporta sul grande schermo la, ehm, letteratura di E. L. James due anni dopo Cinquanta sfumature di grigio (2015, regia di Sam Taylor-Johnson).
Strano ma vero, sfruculiando nella filmografia di Foley troviamo tutte le parole chiave di questo Fifty Shades Darker, tanto per ribadirne l’originalità: Amare con rabbia (Reckless, 1984); A distanza ravvicinata (At Close Range, 1986); Who's That Girl? (1987); Più tardi al buio (After Dark, My Sweet, 1990); Americani (Glengarry Glen Ross, 1992); Un giorno da ricordare (Two Bits, 1995); Paura (Fear, 1996); L'ultimo appello (The Chamber, 1996); Perfect Stranger (2007). Shakerate e il film è (s)fatto.
Rimane, bonus track, da chiedersi come se la cavino i due attori: Dakota Johnson, figlia di Don e Melanie Griffith, con quelle labbra – siamo signori, e sul resto del corpicino serbiamo rigoroso silenzio – può dire tutto, dunque anche le insipidi battute di Anastasia Steele; Jamie Dornan, alias Christian Grey, ha messo su muscoli, e sarebbe un perfetto capomastro nelle Prealpi Bergamasche.
Nota a margine: cari E. L. James, maritino sceneggiatore Niall Leonard e Foley, non si può lanciare il sasso e nascondere la mano, ovvero non si può – si ricordi peraltro Bazin… - fotografare il sesso sparando al contempo una brutta musica quale diversivo e censura anticlimax.
Insomma, bisognerebbe crederci, ma qui non è dato: 115 minuti in cui vi troverete a pensare alle rate del mutuo, la spesa da fare, una mostra da vedere. E che la vita non è questo cinema, che il sesso non ha queste sfumature e… dov'è che ho parcheggiato?