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Cinquanta sfumature di grigio
Stavolta il campo d'elezione è un tantino differente e la direzione di un film-fenomeno come Cinquanta sfumature di grigio ne condiziona qualsiasi velleità in termini di sguardo e autorialità: campo e controcampo dominano - come da copione - una drammaturgia basata sul "botta e risposta", sul corteggiamento "atipico" che vede, da una parte, la ragazza "normale" (e vergine) avvicinarsi poco a poco all'universo "malato" di Grey, affascinante problematico misterioso che, testuali parole, non fa l'amore, "ma scopa. Forte". Dall'altra parte, ovvio, Anastasia sarà la prima a creare una piccola breccia in quella corazza (lui ha avuto un'infanzia difficile, una madre prostituta drogata...), breccia che, però, non porterà le cose lì dove vorrebbe lei. Per questo, e ulteriori lieti finali, bisognerà attendere gli altri due film.Volutamente (?) mortifero e per certi versi glaciale, Cinquanta sfumature di grigio riporta il cinema del 2015 a misurarsi con filoni tipicamente anni '80 e '90, rendendo se possibile ancor più schematica la partitura, facendo quasi rimpiangere prodotti come 9 settimane e 1/2 e Basic Instinct.
Il clamore intorno cui ruota il "fenomeno", immaginiamo, è da ricercare nelle derive "perverse" di rapporti regolati da corde, bende, frustini e sculacciate: "Wow!". Ma la cinta no! (e torna alla mente il Verdone implorante con il futuro suocero Mario Brega quando in Borotalco lo becca a casa di Manuel Fantoni in flagranza di tradimento...), perché va bene tutto, ma a tutto c'è un limite. Che il film si guarda bene dal sfiorare neanche lontanamente, concentrandosi più che altro sulla verbosità di una contrattazione (vera e propria, con tanto di articoli e commi) che certifica l'effettiva morte del desiderio. E il trapasso è anche quello dello spettatore, ucciso dalla noia. Twilight, al confronto, era Il Dottor Zivago.