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Ciao bambino
L’inizio è folgorante: il bianco e nero tradisce l’epoca e trasfigura l’attualità, l’epica del tuffo a strapiombo evoca i feriti a morte (benché il contesto sociale sia diverso da quello di Raffaele La Capria), l’immersione nel mare il senso di un tempo, gli sguardi rivolti verso il cielo invaso dai fuochi pirotecnici svincola i corpi dalle contingenze della contemporaneità.
È un avvio di grande impatto per Ciao bambino, primo lungometraggio di Edgardo Pistone, già premiato alla Settimana della Critica di Venezia 2020 per la regia del corto Le mosche, ora presentato nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma. Che, con queste immagini affascinanti che non si compiacciono di un’estetica fine a se stessa, impagina un racconto giovanile malinconico e vivo in una Napoli che sembra omettere la possibilità di una speranza (la vicenda si svolge al Rione Traiano, periferia ovest di Napoli).
Una città fuori dal tempo e dalla Storia, sconsolata nel suo doversi adattare alle esigenze della malavita, dove il diciannovenne Attilio riceve dal boss del rione l’incarico di proteggere una giovane prostituta dell’Est. È un incontro tra due giovani soli al mondo, l’una costretta allo sfruttamento e a concedersi a uomini squallidi, l’altro impelagato in cose più grandi di lui per via del padre appena scarcerato ma già inguaiato per certi debiti. È nel riconoscimento reciproco che immaginano una vita migliore, è nell’amore – che in quanto tale è sempre disperato – che si accompagnano alla deriva in direzione ostinata e contraria rispetto all’altrui volere: “È strano – dice Attilio – che dall’altra parte del mondo sei finita qua vicino a me: due persone che si vogliono bene è una cosa bella”.
È un melodramma purissimo, Ciao bambino, che elude le scorciatoie emotive e sensazionalistiche per costeggiare un intimismo più dimesso, con una sensibilità per l’immagine che rivela molto controllo. Forse, a volte, anche troppo, ma come si fa a non apprezzare un film che sembra evocare visivamente lampi da Gli amori di una bionda o I vitelloni?
Con un titolo che indica il saluto struggente a una fase della vita e l’approdo a una nuova stagione, è uno spaccato credibile e autentico di una realtà precisa, di un momento della giovinezza in cui bisogna fare i conti con lo sguardo degli altri (gli amici del gruppo con cui si procede insieme finché qualcosa si rompe, gli adulti che strumentalizzano e quelli che cercano di accogliere) e con la scoperta della più inaspettata delle verità.
Pistone, anche sceneggiatore con Ivan Ferone, incamera le consapevolezze dell’indie senza restarne prigioniero, costruisce scene piene di respiro, si avvale di un cast fresco e inedito, dominato da Marco Adam, della fotografia evocativa di Rosario Cammarota, del montaggio esperto di Giogiò Franchini che lo mette in contatto con quella tradizione underground partenopea che ha dei capiscuola in Antonio Capuano e Salvatore Piscicelli. È un’opera prima che certifica anche la perspicacia del compianto Gaetano Di Vaio: Ciao bambino è, infatti, una delle sue ultime produzioni.