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Chiara Ferragni non esiste. Chiara Ferragni è sempre altrove, un’altra più in là: una Chiara aspirazionale, “la Chiara che vorrei”. Unposted, il documentario per la regia di Elisa Amoruso agli Sconfini di Venezia 76, è un oggetto misterioso: Netflix avrebbe voluto un resoconto intimo, il backstage personale – non se n’è fatto nulla; questo è un ibrido, ovvero la Chiara “privata” spiega e “rivela” quella pubblica.
Ma chi è Chiara? Studio sull’antico Duepuntozero, praticantato su Flickr, affinamento tra Twitter e Facebook, boom – fino ai 17 milioni di follower attuali – su Instagram: vien da chiedersi, è nato prima il social o la Ferragni? Nelle griglie anodine e “democratiche” dei media della condivisione, ha ribaltato il tavolo: ha, ehm, creato in prima persona singolare e condivisa e continua a farlo. L’ha preparata la mamma, che ha fatto della vita della sua piccola – e dell’altra figlia – un diario filmato: Chiara è cresciuta a pane e (auto)rappresentazione, e oggi – anzi, da tempo – ha confutato il marito Fedez (e J-Ax) di Vorrei ma non posto.
Se, con Lorenzo Serafini, “il fashion influencer ha accorciato la distanza tra la moda e il mondo”, la Ferragni ha anche ridotto, ipse dixit, quella tra essere e apparire: con lei, apparire elude qualsiasi altra cosa, meglio, essere è apparire. La Amoruso deve convenirne e ne conviene: la regia, in fondo, è delegata, la paletta entertainment, il soft power della nostra.
Nemmeno è agiografico, è a immagine e somiglianza di questa deità partita da Cremona per girare il mondo rimanendo uguale: doppia CEO, “mamma supercool”, senza “paura di non assecondare gli altri”, a scuola “senza capire quale fosse il mio talento”, poi, “nessuno mi ha creato se non me stessa”, alla faccia dell’ex socio Riccardo Pozzoli. Chiara Ferragni è digitale, anzi, non nativa digitale, ma nativa Chiara Ferragni: era già tutto lì, quando in un pomeriggio si scattò 500 foto con il padre a chiedersi, “che te ne fari mai?”. Ingenuo lui, ingenui noi, la pioniera tracciava la pista, il destino era nelle sue mani, il destino era quella sua prima macchina digitale: i Ferragni l’avevano presa con i punti dell’Esselunga.
“Ogni ricordo è più importante condividerlo / che viverlo”, rappava Fedez, e no, non è così: ogni condivisione è più importante viverla / che ricordarla. L’eterno presente, Chiara – confessa in conferenza – per post non ci mette più di cinque minuti: veloce, spedita, davvero, scattante.
Piccina, con le gomme in bocca, chiedeva: “Mamma, mi filmi?”, poi arrivò il blog The Blonde Salada, e a 22 anni aveva già 10-12 persone a lavorare per lei. Imprenditrice digitale; donna a cui “non serve un uomo per fare tutto questo”; moglie, che al matrimonio “spero di piangere in modo carino”; sognatrice, “spesso di cadere nel vuoto”. La Chiara che vorrei cha detto anche molto a noi, di come la vorremmo: l’hating, confessa tra le lacrime, fa tanto male, eppure, Chiara ci ha insegnato ad amare. Pardon, ad amarla.
Forse è un androide il “cartellone pubblicitario vivente”, anzi, no: prometteva Blade Runner, “i replicanti non hanno scaglie. Foto di famiglia... I replicanti non avevano certo famiglia”. Unposted, anche questo.