PHOTO
Chi segna vince (Hilary Bronwyn Gayle © 2023 Searchlight Pictures)
La nazionale di calcio delle Samoa americane è passata alla storia per aver subito la peggior sconfitta in una partita internazionale: nell’aprile 2001, al primo tentativo di qualificarsi ai Mondiali, perse 31-0 contro l’Australia. Una catastrofe, tant’è che, per evitare umiliazioni così pesanti, la FIFA ha introdotto un turno preliminare nella qualificazione della zona oceaniana per la Coppa del Mondo 2006. Va da sé che l’episodio in sé è epocale e stuzzica più di una curiosità su questa squadra di loser e, infatti, nel 2014 è uscito un documentario sul tema, Next Goal Wins, diretto da Mike Brett e Steve Jamison.
A partire da quel film, da cui riprende pure il titolo (che in italiano diventa Chi segna vince), Taika Waititi ha raccontato la stessa storia (anche sceneggiatore con Iain Morris), mettendo al centro l’allenatore della squadra, l’olandese Thomas Rongen (Michael Fassbender in un ruolo insolito), già commissario tecnico della nazionale statunitense under-20 e mandato a forza nell’arcipelago del Pacifico dai dirigenti della federazione. L’obiettivo del pittoresco presidente della federazione samoana è far sì che i suoi scalcinati ma volenterosi calciatori segnino almeno un goal, il primo della storia, mentre i capi di Rongen vogliono solo levarselo di torno (troppo intemperante e ingestibile a bordo campo, alcolizzato e depresso nella vita quotidiana), anche se l’ex moglie del coach, anche lei nel settore, spera che l’uomo trovi un po’ di pace.
Lo schema è semplice: all’inizio il forestiero è tormentato e infuriato col mondo e non ha alcuna intenzione di prendere sul serio l’incarico, ma a poco a poco si lascia travolgere dalla vita in quel posto così ancorato a tradizioni e consuetudini ancestrali, e così Rongen riscopre l’entusiasmo del gioco e impara a fare pace con i propri fantasmi. Piccole morali: l’importante non è vincere ma essere se stessi, una sconfitta può essere un’occasione di rinascita, l’equilibrio si trova dove meno te l’aspetti.
Tutto molto edificante, serenamente prevedibile, perché il feel good movie si mangia tutto, eppure Waititi sembra più confuso che indeciso: gli innesti vagamente demenziali s’indeboliscono per il melodramma sottotraccia (che, col senno del poi, è piuttosto lancinante), l’epica dell’impresa si disperde nel tono un po’ fiacco della commedia sportiva (la dissacrazione di Ogni maledetta domenica è un lampo), la corale degli outsider è un repertorio di macchiette.
E alla tipica storia di un bianco sfiduciato dall’Occidente e salvato dalla fuga esotica preferiamo quel che Chi segna vince annuncia senza approfondire troppo, cioè il personaggio più interessante: Saelua, primo atleta non binario e trans a giocare in una qualificazione ai Mondiali, che nella cultura samoana rappresenta una specie di terzo genere (“fa’afafina”) nonché un incrocio etnico (prevalenza polinesiana samoana-hawaiana-maori-tonganana-tahitiana-giapponese-irlandese-scozzese-inglese), figura di riferimento dell’isola per le qualità spirituali di mediazione e ispirazione (a interpretarla è l’inedita Kaimana).
In un passaggio narrativo poco curato (spoiler ma neanche troppo), rivela al coach di aver sospeso la cura ormonale legata alla transizione per non creare problemi alla squadra. Il rapporto tra i due personaggi è funzionale alla trama, ma è anche uno sperpero perché lascia sullo sfondo una diramazione più interessante di quel che è effettivamente ci propone Waititi. Poi, d’accordo, è tutto molto spensierato e motivazionale, ma l’affetto è pari all’approssimazione.